Che cosa ci rende felici? Stefan Sagmeister, la pop star del graphic design, ha riflettuto a lungo su questa domanda rispondendo con un giocoso esercizio di comunicazione visiva. The Happy Show, inaugurato ieri al Museum für Gestaltung di Zurigo, presenta il risultato della sua ricerca della felicità, invitando il visitatore a verificare il livello della propria. L’ho incontrato
“Questa mostra non vi renderà più felici. Non vi sbarazzerete delle vostre angosce. Se spesso vi capita di singhiozzare nel cuore della notte facendo a botte col cuscino, la visita agli spazi del Museum für Gestaltung non modificherà il vostro stato d’animo. Questa esposizione non potrà impedire a quei pensieri cupi di far capolino la mattina sotto la doccia: semmai si permetterà di dire quella cosa, tu rispondergli in questo modo, così capirà di che pasta sei fatto. Nemmeno contrasterà la mancanza d’affidabilità del vostro collega d’ufficio o l’ingratitudine di vostro figlio. È un sincero consiglio per limitare le vostre aspettative poiché, come mi auguro scoprirete, avere poche aspettative è una strategia che funziona”. Stefan Sagmeister mette fin da subito le mani avanti, conscio del suo status di pioniere del design moderno. Di modeste origini austriache a, soli 25 anni vola a New York per frequentare il celebre Pratt Institute. È il 1987 quando Stefan Sagmeister ha reso felice qualcuno con la sua professione: un’amica gli chiese di realizzarle dei biglietti da visita che non costassero più di un dollaro al pezzo, lui prese dal suo portafoglio delle banconote da un dollaro e ci stampò nominativo e recapito della ragazza.
Lou Reed, Set the Twilight Reeling, copertina CD, 1996, © Stefan Sagmeister, Timothy Greenfield Sanders, Courtesy Museum für Gestaltung
Da quel momento Sagmeister ha collezionato un trentennio di forme di felicità annoverandolo fra i designer più creativi attualmente in circolazione. Per gestire al meglio la fama crescente che porta in dote sempre più clienti, il grafico austriaco si è imposto un metodo lavorativo per garantire la creatività e la filosofia della sua agenzia, mantenendone al minimo l’organico e selezionando solo progetti costruttivi mirati a incentivare la cultura, l’arte e la musica. Indimenticabile la copertina realizzata per il disco Set the Twilight Reeling di Lou Reed. Analizzando l’evoluzione artistica dei suoi lavori, commerciali che istituzionali, Stefan Sagmeister non si è mai arreso a uno stile preciso, mantenendo una versatilità creativa riscontrabile nel risultato finale sempre originale.
Ciò non ha impedito che la routine prendesse il sopravvento provocando l’accumularsi dello stress. Da qui l’idea, di chiudere ogni sette anni lo studio al civico 900 di Broadway, concedendo ai suoi colleghi che a sé stesso un anno sabbatico durante il quale non vengono accettate proposte di lavoro. Concetto spiegato e redatto dallo stesso artista su una parete della mostra: “Oggi trascorriamo i primi 25 anni della nostra vita ad apprendere, a lavorare nei successivi 40, godendo gli ultimi 15 da pensionati, prima di morire. È nel mio interesse utilizzare 5 anni della mia pensione introducendoli, a cadenza settennale, nell’arco della mia vita lavorativa. Piacevoli e produttivi periodi che si trasformano in terreno fertile dove coltivare nuove idee di cui beneficerà non solo il singolo l’intera agenzia”.
Trying To Look Good Limits My Life, stampa digitale, 2004, © Stefan Sagmeister, Matthias Ernstberger, Courtesy Museum für Gestaltung
Quest’autunno concludi il tuo terzo anno sabbatico che hai trascorso fra Tokyo, Mexico City e Bregenzerwald la regione austriaca dove sei nato e cresciuto. Quale di questi luoghi ti ha più ispirato e in che modo ?
Mexico City è stata essenzialmente la città più inspirante, penso a causa della sensazione di incompiutezza che la caratterizza ma che in dote porta innumerevoli possibilità di sviluppo e miglioramento. Inoltre tutto ciò che si vede in giro per la città rientrante nella categoria “bello e ben fatto” risale a uno o due anni fa, consentendo l’incontro, la conoscenza e uno scambio comunicativo coi loro realizzatori. L’opposto in città come Vienna o Roma dove manca la possibilità d’interagire con quegli artisti artefici delle splendide opere realizzate secoli fa, se non addirittura millenni.
Stefan Sagmeister suggella l’anno sabbatico con la sua presenza zurighese per l’inaugurazione del suo The Happy Show aperto dalla domanda: quanto siete felici? I visitatori dell’esposizione possono immediatamente rispondere prendendo una gomma da masticare di colore giallo da uno dei dieci cilindri che la contengono. Ordinati secondo una scala da uno a dieci, producono un grafico tridimensionale rivelatore: questi distributori automatici si trasformano in un barometro della felicità. Il percorso espositivo racconta la ricerca della felicità interrogandosi su questo stato d’animo fra la gente. Il grafico austriaco si è personalmente sottoposto a svariati esperimenti per trovare il metodo più efficace per aumentare il proprio livello di felicità per poi completarli con dati socio-scientifici. Il risultato è una mostra provocatrice: un concentrato di divertenti informazioni che interpellano il visitatore attraverso infografici, installazioni, video, fotografie, oggetti interattivi e la proiezione speciale di The Happy Film.
It Is Pretty Much Impossible to Please Everybody, estratto dal video, 2012, © Stefan Sagmeister, Hillman Curtis, Ben Nabors, Marshall Stief, Anastasia Durasova, Jessica Walsh, Courtesy Museum für Gestaltung
In un recente post pubblicato sul tuo profilo Instagram accenni a un imminente nuovo progetto che verterà sulla bellezza. Uno qualità consequenziale allo stato d’animo della felicità raccontato dal The Happy Show?
L’iniziale ispirazione era in realtà un’esigenza pratica. Ci siamo accorti che quando un concetto non viene mai preso seriamente in considerazione dallo studio per farlo poi maturare in un obiettivo, il soggetto sembra avere poi maggiori possibilità di riuscita. La bellezza come garante della funzionalità. Dopo The Happy Show avevo giurato a me stesso di non esplorare un altro soggetto così impegnativo. La vastità dell’argomento richiede uno sforzo non indifferente nel selezionare ciò che ne farà parte integrante e ciò che verrà scartato. Concepirne l’esposizione è un’ulteriore sfida. Potenzialmente questo particolare medium è in grado d’attrarre l’interesse di un numeroso pubblico, The Happy Show ha da poco contato il suo mezzo milione di visitatori, che può essere raggiunto in giro per il mondo solamente a fronte di una notevole organizzazione logistica. Inoltre un’esposizione richiede che la progettazione di un allestimento artistico sia non solo originale ma anche attenta a favorire l’unicità interattiva, quel privilegiato legame offerto al visitatore che solo un contesto espositivo è in grado di edificare, al contrario di cinema, televisione o YouTube. Di una cosa siamo ormai sicuri: alla bellezza non dedicheremo un film come quello realizzato per The Happy Show, che ha richiesto un impegno produttivo non più replicabile.
In un’intervista rilasciata nel 2014 alla rivista The Great Discontent hai nominato The Sopranos e The Wire come serie televisive da te preferite. Una forma d’intrattenimento la cui popolarità cresce in misura esponenziale. Tanto che pure la creatività grafica dietro i titoli di testa di una serie TV è premiata agli Emmy Awards con l’”Oustanding Main Title Design”. Hai mai pensato di disegnare la sequenza d’apertura di una serie? E dei recenti titoli di testa ne hai qualcuno che preferisci o che vorresti migliorare?
Ora che ci penso, appare molto strano, ma in effetti non abbiamo mai ricevuto richieste per realizzare la grafica destinata a questo particolare prodotto. Se in futuro saremo interpellati per uno show di qualità, ci metteremo subito al lavoro. In passato ci hanno proposto di disegnare i titoli d’apertura per un film, mai peraltro realizzati per lo scarso interesse provato leggendone la sceneggiatura. Più complicato rispondere all’altra domanda. Ci sono titoli che appaiono fantastici alla loro prima visione ma che perdono appeal rivedendoli ogni settimana, come quelli ideati per Six Feet Under, tanto da favorire l’uso del telecomando per poterli saltare velocemente. Poi ci sono quelli che all’inizio fanno fatica a sedurci ma che con lo scorrere delle puntate acquistano un valore artistico inaspettato. A questa seconda categoria appartengono quelli realizzati per The Sopranos. Sul processo creativo di una sigla pesa anche l’incognita temporale: disegno per una produzione televisiva lunga almeno una stagione o per un pilot destinato all’oblio a causa delle impietose ricerche di marketing cassandone il suo futuro.
If I Don’t Ask I Won’t Get, estratto dal video, 2013, © Stefan Sagmeister, Steve Romano, Jessica Walsh, musica di Six by Seven, Courtesy Museum für Gestaltung
Da oggi la tua mostra fa tappa in Svizzera. Qui sono stati creati celebri caratteri tipografici declinati in una miriade di variazioni, forme e dimensioni e usati dai graphic designer per innumerevoli applicazioni esportate in tutto il modo: dalle indicazioni stradali ai poster, dalle borse alle riviste. Quali font rossocrociati prediligi?
La Svizzera è una delle poche nazioni a livello mondiale dove la grafica continua a evolversi giocando un ruolo dominate, nonostante possa vivere di rendita grazie a una lunga tradizione. Lo Swiss International Style sviluppatosi negli anni ’50 ne è un esempio, impostosi per tutto il restante XX° secolo grazie alla sua chiarezza, leggibilità e obiettività, senza alcun accenno al decorativismo. Una solida tradizione al limite della sacralità che non intimorisce i nuovi grafici, impegnati a creare senza sosta fantastici lavori. Sono piacevolmente sorpreso che il gruppo di giovani svizzeri abbia raggiunto una notorietà superiore a quella degli omologhi austriaci o tedeschi. Non posso affermare lo stesso per il panorama italiano che vanta sì una tradizione grafica di massimo livello ma che purtroppo si sta sempre più affievolendo. Personalmente attingo fra i caratteri realizzati da designer, come Norm, associati allo studio zurighese Lineto. A volte è la mia agenzia a ideare nuovi font, ma generalmente destinati a particolari progetti che ne richiedono l’esclusiva, impedendo di fatto un loro futuro riutilizzo per altre pubblicazioni. Mi ha infine molto impressionato il restyling operato da Rudolf Barmettler sul carattere creato da Ernst Keller nel 1932 per la storica sede del Museum für Gestaltung (al civico 60 di Ausstellungsstrasse che riaprirà i battenti nella primavera 2018 dopo una ristrutturazione durata due anni, ndr).
Il Museum für Gestaltung non si limita a ospitare il tuo The Happy Show, ma ti ha dato anche carta bianca per realizzare MyCollection formato espositivo dedicato a un centinaio di oggetti, selezionati dall’artista invitato, fra i 500.000 mila conservati negli archivi della collezione del museo e che testimoniano storia ed evoluzione del design. Come li hai scelti?
Per un motivo molto semplice ma detestato dalla maggior parte dei miei colleghi. La bellezza è da sempre la mia unica preoccupazione. Non appoggio le mie chiappe su sedie per verificare se sono comode, non domando alle agenzie pubblicitarie se la loro campagna è un successo, io me ne frego di sapere se una lampada fa abbastanza luce o la sua illuminazione è scarsa. La maggior parte dei designer che conosco non parlano mai di bellezza, si concentrano sulla risoluzione dei problemi dei loro clienti pretendendo di lasciare le problematiche relative alla forma ai decoratori. Confermo d’aver selezionato gli oggetti esclusivamente per la loro bellezza estetica, ma parallelamente mi sono assicurato che tutti garantissero anche la perfetta funzionalità. La grande M arancione soddisfa la sua funzione indicando la dimensione del supermercato Migros nell’identico modo in cui il drago decorato sul mantello dell’imperatore della Cina innalza il suo rango socio-politico. La confezione Villiger protegge e permette di vendere gli omonimi sigari da 80 anni, mentre il bicchiere di Oswald Haerdtl è, da quasi un secolo, tuttora fabbricato. L’equazione Bellezza = Funzionalità? Funziona!
Le esposizioni The Happy Show e MyCollection rimarranno aperte fino all’11 marzo 2018. Immagine di copertina: Having Guts, estratto da The Happy Film, 2011, © Stefan Sagmeister, Hillman Curtis, Ben Wolf, Ben Nabors, Courtesy Museum für Gestaltung. Per esigenze editoriali è disponibile la versione integrale di questo articolo che può essere richiesto via mail a: info@faustocolombo.com