Un affare di famiglia

Tradizionale, allargata, elettiva. Le trasformazioni della famiglia contemporanea sono ormai inarrestabili. A declinare visualmente le sue poliedriche costellazioni è ChosenFamily – Less alone together, un’audace mostra fotografica al Fotomuseum Winterthur, ricca di approcci artistici tanto diversi quanto differenti sono le storie familiari ritratte. Questo il mio reportage pubblicato sul numero 103 del magazine italiano POSH

La famiglia è lo spazio in cui inizia la vita di ognuno. Lo è sempre stato e vale anche oggi, nonostante la sua struttura stia subendo repentine trasformazioni. Dalla famiglia patriarcale, in cui convivevano varie generazioni, a quella formata esclusivamente da genitori e figli, sono andate diffondendosi forme familiari sempre più lontane dallo schema tradizionale. È fortemente diminuito il numero dei figli, molte famiglie sono composte solo dalla coppia di coniugi, è aumentato il numero dei single, come pure quello dei matrimoni tra persone di diversa etnia e del medesimo sesso. I legami familiari si scompongono e si complicano, sempre più velocemente. Il profondo mutamento sociale, la libera scelta e un processo migratorio continuo hanno permesso l’incontro di culture diverse, accrescendo di fatto la pluralità culturale e conseguentemente favorendo una differente concezione dell’intera esistenza e in particolare della famiglia. Ma qual è il suo significato all’alba del terzo millennio? Si tratta di biologia o di complicità? Di unioni che crescono nelle affinità emozionali o che sono imposte dalle convenzioni? A queste domande tenta di dare una risposta ChosenFamily – Less alone together, una mostra che si avvale di coraggiose posizioni internazionali per far luce sul trattamento della famiglia (scelta) da parte del mezzo fotografico e sulla sua rappresentazione come costrutto sociale e culturale. Ce ne parla Nadine Wietlisbach che, oltre a dirigere il Fotomusuem Winterthur, con il contributo di Katrin Bauer, è la responsabile della sua curatela.

Nadine Wietlisbach © Flurina Rothenberger

Quali sono i temi che intendi esplorare con questa collezione? 

Innanzi tutto l’idea che la famiglia tradizionale, quella elettiva e le varie comunità siano contesti in cui non solo nasciamo, ma che siamo anche in grado di creare, e i fotografi presentati dimostrano in maniera inequivocabile quanto differenti possano essere questi basilari concetti. Intendo anche offrire al pubblico l’opportunità di scoprire autori non ancora molto conosciuti, come la cinese Pixy Liao, al suo debutto svizzero, o lo statunitense Charlie Engman, che qui presenta la sua prima monografia. Oltre, ovviamente, alla sempre piacevole possibilità di ammirare artisti di vecchia data del calibro di Nan Goldin o Larry Clark. 

Come hai selezionato i fotografi esposti? 

Sono partita con un’approfondita ricerca nella vasta collezione del Fotomuseum, valutando quali autori e immagini presenti nei nostri archivi avessero i requisiti necessari per essere inclusi in questo progetto. Ho voluto poi proporre un gruppo di nuovi artisti che già da qualche anno sto seguendo con particolare interesse. Infine ho scelto di concentrarmi su molte immagini di un singolo fotografo, piuttosto che allargare il panorama degli artisti e conseguentemente limitare il numero delle fotografie esposte.

Vista installazione © Conradin Frei

Il tradizionale album di famiglia sembra essersi smaterializzato: ciascun familiare ne porta un pezzo nella memoria caotica del suo cellulare. Abbiamo perso solo un complemento d’arredo o addirittura un aspetto importante della famiglia stessa? 

Non credo che il tradizionale album di famiglia e la sua versione digitale racchiusa nel telefonino si escludano a vicenda. Tutti noi, me compresa, disponiamo di molti dati memorizzati sui nostri dispositivi, incluse le fotografie della propria famiglia. Tuttavia persiste l’abitudine di stampare alcune di queste immagini digitali da inserire in un album o da incorniciare per appenderle alle pareti di casa. L’essere parte integrante di un sistema di comunicazione globale ha evidentemente aumentato il desiderio di documentare la vita della propria famiglia e di condividere queste immagini coi suoi membri, tramite e-mail, chat o post sui social media. Come società, conserviamo ancora il desiderio innato ed emotivo di scattare fotografie per conservare i momenti speciali della nostra vita. Nonostante il numero di immagini sia aumentato esponenzialmente con il passaggio ai supporti digitali, ognuno di noi ha ancora delle fotografie preferite all’interno delle sue vaste collezioni. Se chiedete a un genitore di mostrarvi la foto preferita del figlio all’età di tre anni, sicuramente avrà un’opinione precisa su quali immagini, fra le migliaia salvate, siano le sue preferite. 

È possibile che l’album di famiglia sia oggi rappresentato dai social, dove le immagini, in continuo movimento, tessono la trama delle costellazioni relazionali?

Assolutamente sì, ed è una rappresentazione estremamente accurata di ciò che sta accadendo. Inoltre, con il particolare accrescersi delle famiglie allargate ed elettive, queste immagini sempre più condivise aiutano a formare un’inedita mappa delle relazioni familiari e sentimentali.

Annelies Štrba, Ån 22, from the series Filmstills aus Dawa-Video, 2001 © Annelies Štrba

La versione smartphone dell’album di famiglia sembra comunque conservare l’obiettivo principe della sua forma tradizionale: rappresentare e celebrare la felicità. È forse per questo motivo che le immagini di sofferenza e perdite sono ancora merce rara sui cellulari? 

Senza alcun dubbio. Nella fotografia “di tutti i giorni”, album e social media compresi, questo tipo di immagini non è solitamente presente. Quando però si passa alla fotografia più concettuale o legata all’arte, questi temi hanno più probabilità di essere inclusi per mostrare gli aspetti negativi dell’esistenza. È un aspetto, che con altri, ha motivato la realizzazione di ChosenFamily – Less alone together: mostrare che le esperienze familiari e comunitarie comprendono le molteplici sfaccettature del distacco e del dolore.

Cosa ti auguri possano portarsi con sé i visitatori di questa mostra? 

Spero siano permeabili a nuove idee e impressioni sulle possibilità di versioni alternative di famiglia, magari integrandole nelle loro relazioni familiari e comunitarie, e magari rendendole più significative in futuro. Guardando agli ultimi due anni di pandemia globale e all’attuale crisi dei rifugiati, provenienti da luoghi come la Siria o l’Ucraina, i concetti di famiglia e comunità sollevano questioni politiche molto urgenti con cui la società deve fare i conti. È davvero un momento in cui noi tutti siamo obbligati a riflettere su come vogliamo vivere insieme. 

SAY CHEESE

Alba Zari, vista installazione © Conradin Frei

La mostra ChosenFamily – Less alone together presenta opere di fotografi contemporanei che indagano la propria storia familiare, esaminando ed esplorando il proprio passato. Il lavoro di Alba Zari, la sola artista italiana presentata, consiste in una rivalutazione del suo trascorso familiare mediato da immagini tratte dall’archivio di famiglia e da documenti fotografici contemporanei. L’artista, nata in una setta cristiana fondamentalista, utilizza frammenti di testo e immagini per indagare la storia della sua famiglia ed esplorare la propria identità (IG @albazari).

Lindokuhle Sobekwa, from the artist book I Carry Her Photo with Me, 2017 © Lindokuhle Sobekwa and Magnum Photos 

Anche Lindokuhle Sobekwa utilizza le immagini per ricostruire eventi del passato. Quando aveva solo sette anni, sua sorella, più grande di lui di sei anni, scomparve senza lasciare traccia e tornò solo dieci anni dopo. Con l’aiuto di un libro fotografico documentario, l’autore cerca di creare letteralmente un’immagine di questo momento formativo della sua vita, un periodo di cui sa pochissimo e di cui nessuno parla più da tempo (IG @lindokuhle.sobekwa).

Richard Billingham, vista installazione © Conradin Frei

Richard Billingham si confronta invece con la propria storia e la propria biografia, realizzando un resoconto affettuoso e al tempo stesso crudo della vita e della realtà quotidiana dei suoi genitori, mostrando un mondo domestico plasmato dalla povertà e dalla dipendenza. Un tormentato e pungente lavoro fotografico da cui è poi scaturito Ray & Liz, il pluripremiato film che ha segnato il suo debutto come regista di immagini visive di grande effetto (IG @rayandlizfilm).

Charlie Engman, vista installazione © Conradin Frei

Altri artisti presentano se stessi e i membri della loro famiglia in ambientazioni talvolta elaborate. Rompendo e rimettendo in scena le strutture familiari, il loro lavoro riflette sui ruoli giocati dai singoli familiari e sulla loro posizione all’interno di questa costellazione. Charlie Engman, ad esempio, fotografa la sua mamma in contesti che hanno poco in comune con la nostra concezione unidimensionale della realtà quotidiana di una madre: possiamo vederla in posa con una parrucca bionda ossigenata, con l’ombretto blu e uno sguardo feroce e di sfida, oppure arrampicata su una scala di corda fissata a un albero, indossando mutandine bianche (IG @charlieengman).

Pixy Liao, It’s Never Been Easy to Carry You, 2013, from the series Experimental Relationship, 2007– © Pixy Liao 

Pure Pixie Liao adotta un approccio ludico mettendo in discussione i classici modelli di ruolo. I suoi autoritratti la vedono insieme al suo partner, completamente nudo, da lei stessa tenuto in braccio o trasportato sulle spalle. Nel suo lavoro non solo vengono invertiti gli stereotipi e i cliché di genere, ma le relative dinamiche di potere vengono messe in discussione e sondate in un atto performativo condiviso davanti alla macchina fotografica (IG @bloodypixy).

Leonard Suryajaya, vista installazione © Conradin Frei

Leonard Suryajaya mette in scena invece i suoi genitori e la sua famiglia allargata utilizzando oggetti di scena carichi di simbolismo in ambienti elaborati e allestiti con tappeti e tessuti. Dimostrando che le interazioni a volte stravaganti tra i singoli membri della famiglia sono in contrasto con la nostra idea di ritratto di famiglia convenzionale (IG @leonardsuryajaya).

Dayanita Singh, On his arrival each eunuch was greeted by me with garland of jasmine flowers. Ayesha’s first birthday, 1990, from the series The Third Sex Portfolio, 1989–1999 © Dayanita Sing

Altre esplorazioni artistiche si concentrano sul fatto che la famiglia può essere definita da molto più che una semplice parentela (di sangue), e può essere vissuta attraverso costellazioni comunitarie con legami profondi. Sono opere che mostrano come la fotografia possa essere un mezzo per creare nuove “immagini di famiglia”, offrendo un’alternativa alle nozioni borghesi che si hanno su di essa. Come Dayanita Singh, che ha fotografato Mona Ahmed e la sua figlia adottiva Ayesha negli anni Novanta. Ahmed si identifica come hijra, cioè come parte di una comunità che rifiuta la visione binaria del genere e le norme che essa impone. I membri di questa comunità, che esiste da migliaia di anni, sono stati criminalizzati durante il dominio coloniale britannico e ancora oggi sono esposti a discriminazioni e violenze. Il risultato sono immagini che sfidano la nostra idea di famiglie e comunità tradizionali (IG @dayanitasingh). 

Anne Morgensten, vista installazione © Conradin Frei

O ancora Anne Morgensten le cui composizioni pittoriche, che sottolineano il suo talento per il gioco di forme, consistenza e inquadrature, parlano di amicizie, identità e intimità. L’intreccio sensuale e un senso di vicinanza quasi radicale che ne scaturiscono, trasformano le immagini in un flirt tra lo spettatore e il soggetto dell’immagine, ovvero la comunità che ha scelto per sé come una famiglia elettiva (IG @annemorgensternphoto). Oltre a opere di fotografi e artisti professionisti, il museo offre infine ai visitatori la possibilità di condividere le proprie storie familiari e di condividere le foto di famiglia in uno degli spazi espositivi.

Il trailer della mostra ChosenFamily – Less alone together. Fino al 16.10.2022 al Fotomuseum Winterthur

Immagine di copertina: Diana Markosian, The Arrival, 2019, from the series Santa Barbara, 2019–2020 © Diana Markosian and Galerie Les filles du Calvaire. Tutte le immagini: Courtesy Fotomuseum Winterthur. Si ringrazia per la collaborazione: Christopher Hux, Anna Siegrist e Julia Sumi. Intervista con Nadine Wietlisbach realizzata il 10.06.2022 al Fotomuseum Winterthur. Reportage pubblicato in anteprima sulle pagine 60-69 del numero 103 del magazine italiano POSH

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