Il Landesmuseum parla italiano

È l’istituzione storico-culturale più visitata della Svizzera. Presentando la storia dagli albori ai nostri giorni, valorizza le molteplici identità elvetiche nonché la varietà storica e culturale del Paese. Ho incontrato la ticinese Denise Tonella, neodirettrice del Museo nazionale Zurigo 

Fu nel lontano 1891 che Zurigo, dopo vivaci discussioni e sbaragliando la concorrenza di Lucerna, Basilea e Berna, venne scelta come ubicazione del futuro Museo nazionale svizzero. Era il XIX secolo, considerato generalmente come il secolo delle nazioni e degli Stati nazionali. Ma mentre gli altri paesi d’Europa imprimevano una forte accelerazione alla fondazione di monumenti e istituzioni, la Svizzera, giovane Stato federale, stentava a imporre l’idea di costituire un museo nazionale. Quella del Consigliere nazionale zurighese Salomon Vögelin, che per primo lanciò il dibattito sulla fondazione del museo, fu un’iniziativa talmente audace per quel tempo, da suscitare un sentimento di scetticismo generale. 130 anni dopo, il Museo nazionale Zurigo, Landesmuseum Zürich per i germanofoni, rimane una delle attrazioni più amate della città. In posizione centrale, proprio accanto alla stazione ferroviaria, la costruzione è un ensemble di un antico e raffinato edificio storico del 1898, disegnato da Gustav Gull, e di un’ala scultorea ultimata nel 2016, realizzata degli architetti Christ & Gantenbein, che si collega all’edificio preesistente, realizzando così un percorso che coniuga egregiamente tradizione e modernità. Al suo interno non solo è custodita la collezione storico-culturale più grande della Svizzera, ma trovano spazio anche mostre temporanee che affrontano argomenti socialmente attuali. Dalla scorsa primavera è una ticinese a dirigere questa prestigiosa istituzione. 42enne, cresciuta in una famiglia contadina in quel di Madrano, frazione di Airolo, Denise Tonella si è affermata su altri 44 candidati nell’ambito di un’articolata procedura di selezione, convincendo sia la commissione esaminatrice, incaricata di trovare un sostituto ad Andreas Spillmann che ha lasciato l’incarico dopo 14 anni, sia il Consiglio del museo. Determinanti sono stati la sua creatività, il talento organizzativo, il multilinguismo (parla, oltre l’italiano, il tedesco, il francese, l’inglese, lo spagnolo e l’ebraico) e un’ottima comprensione del mondo digitale. Laureata in storia e antropologia culturale all’Università di Basilea, Denise Tonella il Museo nazionale svizzero, che oltre la sede zurighese comprende il Castello di Prangins a Nyon, il Forum della storia svizzera di Svitto e il Centro delle collezioni di Affoltern am Albis, lo conosce molto bene. Vi lavora da undici anni e dal 2014 ha curato e diretto progetti espositivi, fra i quali l’imponente mostra di levatura internazionale L’Europa nel Rinascimento. A causa della situazione pandemica, la presentazione ufficiale della nuova direttrice è avvenuta questa estate, esattamente 100 giorni dopo l’inizio del suo mandato. È in questa occasione, dove ha parlato alla stampa dei suoi progetti e del ruolo dei musei nel XXI secolo, che l’ho intervistata. Ecco quello che mi ha raccontato. In italiano, ovviamente.

Un simbolo di lotta – In occasione dei loro interventi in pubblico, Ruth Dreifuss e Christiane Brunner indossano spille a forma di sole, che diventano il simbolo della loro lotta per la parità. Ruth Dreifuss spiega che le donne, rimaste a lungo nell’ombra, appaiono ora alla luce del sole. Spille a forma di sole, 1993, lamiera. Dalla mostra Donne.Diritti

La mostra Donne.Diritti, la più recente da te curata, è sembrata un segno premonitore. Sei la seconda donna a dirigere quello che è il più frequentato museo storico-culturale svizzero. Raccontaci delle sensazioni provate quando hai saputo di essere stata nominata nuova direttrice del Museo nazionale svizzero.

Non avendo mai avuto nella mia vita come obiettivo ultimo quello di diventare un giorno direttrice di un’istituzione, ammetto che mi sono dovuta fermare un attimo e respirare profondamente. Considero questo risultato una tappa importante del mio percorso professionale e sono molto grata del fatto che tutto, nel processo di candidatura durato più mesi, abbia funzionato. Ero nella fase finale di allestimento della mostra sulla storia dei diritti delle donne, e mi sono sentita orgogliosa di riuscire a fare questo passo sapendo quanta lotta c’è stata da parte di molte donne.

Una carica istituzionale che al contempo è politica e pubblica. Come influisce ciò sulla tua vita privata?

Effettivamente ha un influsso poiché ora rappresento un’istituzione e di fatto la rappresento anche nella mia vita privata. Se dovessi ad esempio diventare un’attivista o partecipare a sommosse, sarebbe complicato collegare quell’impegno con la mia nuova funzione. In quanto direttrice rappresento il Museo nazionale e non le mie personali opinioni.

Un connubio di tradizione e modernità: il Museo nazionale Zurigo si compone di due parti, il raffinato edificio storico e la nuova ala scultorea, che chiude l’edificio preesistente realizzando così un percorso che coniuga egregiamente tradizione e modernità

Da curatrice a direttrice i tuoi ruoli sono evidentemente cambiati; puoi descriverci una tua giornata tipo?

Posso descriverti quella odierna. Ho iniziato alle 7:30 rispondendo a varie e-mail. Alle 8:30 ho avuto una riunione riguardo al budget per il prossimo anno con il responsabile delle finanze. Poi è seguito un incontro con un curatore del museo per discutere della mostra da lui curata e programmata per il 2023. Subito dopo ho ricevuto la visita della nuova ambasciatrice indiana che è venuta a presentarsi con la sua famiglia. Sono seguiti gli ultimi preparativi per questa conferenza stampa. Fra poco saluterò la direttrice dell’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo che è qui per visitare l’esposizione Donne.Diritti. La stessa mostra ospiterà alle 19:00 un Q&A che avrò con alcuni studenti dell’Università di Zurigo.

Creato nel 1898 per promuovere l’identità nazionale svizzera, quale significato assume nel 2021 il Museo nazionale?

Oggi il Museo nazionale non è più il luogo dove viene proclamata e presentata al pubblico l’identità svizzera, ma piuttosto uno spazio in cui si raccontano diverse identità svizzere e la loro interconnessione con la storia europea. Un luogo dove si può dialogare e riflettere, dove si può mettere in discussione l’identità svizzera e dove al contempo si possono costruirne di nuove.

Sguardo sulla mostra permanente «Storia della Svizzera»

Parallelamente alle esposizioni permanenti legate ai compiti istituzionali del museo, vengono realizzate numerose mostre caratterizzate da temi contemporanei. Di quanta libertà godi nel realizzarle? Ricevi pressioni politiche?

Devo dire di avere libertà nella scelta dei temi. Le iniziative vengono decise a livello operativo da un gruppo interno che si riunisce regolarmente e vengono poi presentate al Consiglio del Museo che segue il mio lavoro a livello strategico. È vero però che quasi ogni settimana riceviamo proposte provenienti da varie istituzioni, oppure da parlamentari ci vengono suggerite tematiche su cui sarebbe importante organizzare qualcosa. Come ad esempio per i 175 anni della Costituzione Svizzera, anniversario che ricorrerà nel 2023 e dove è palese una volontà politica nel presentare il tema all’interno del Museo nazionale. Ma a parte questi episodi rilevanti a livello politico e che comunque rientrano nella logica organizzativa della nostra istituzione, siamo molto liberi nelle nostre decisioni.

La boutique del Museo nazionale offre 2000 articoli, la maggior parte dei quali proveniente dalla Svizzera

I primi 100 giorni da direttrice hanno coinciso con la riapertura dei musei dopo la seconda ondata della pandemia. Come avete gestito l’emergenza Covid al Museo nazionale?

Un po’ come in tutti i musei ci sono stati tanti cambiamenti e durante il lockdown abbiamo dovuto chiudere completamente tutte le sale. Nessuno si sarebbe immaginato di vedere al Landesmuseum 7000 mq di sale espositive chiuse e vuote o di non poter ospitare nessuno nelle sale o nel giardino storico del Castello di Prangins. Rispetto a molte altre istituzioni culturali, siamo però in una situazione assolutamente privilegiata poiché finanziati per gran parte dalla Confederazione, per cui la pandemia non ha rappresentato per noi un problema esistenziale. Abbiamo comunque perso molto a livello di entrate come la vendita dei biglietti, l’affitto delle sale per eventi, gli incassi dei bistrò e dei negozi dei musei. Sono perdite che non riusciremo a recuperare. Al momento ci preoccupa ancora un po’ l’assenza del turismo internazionale, che prima della pandemia rappresentava qui a Zurigo un terzo dei visitatori. Parliamo per cui di più di 100 000 persone che tuttora non ci fanno visita.

La tua ottima comprensione del mondo digitale è una delle caratteristiche per cui sei stata scelta a dirigere questa istituzione. Cosa pensi della nuova frontiera del museo in 3D e delle visite virtuali? Ritieni che persisterà dopo l’emergenza COVID?

Effettivamente credo vi sia molto potenziale in questo aspetto, anche se naturalmente solo il futuro potrà confermarlo. Noi cercheremo d’investire in questo settore nei prossimi anni, confortati anche dal fatto che durante la pandemia, senza fare pubblicità, si sono registrate presenze che seguivano le nostre visite virtuali anche dall’Australia o dagli Stati Uniti. Il “museo virtuale” permette di trasmettere contenuti e di renderli accessibili anche per chi non può venire a visitarci di persona. Penso ad esempio a tutti gli svizzeri residenti all’estero, un bacino d’utenza stimato in 800 000 persone.

Cervino – Stereofotografia di Zermatt realizzata dall’azienda statunitense Keystone View Company, 1901 circa, dentellata per lo «Sculptoscope» della Whiting View Company. Dalla mostra Stereomania. La Svizzera in 3D, visitabile fino al 17.10.2021

In luglio è stata inaugurata la mostra Stereomania. La svizzera in 3D, confermando il rapporto consolidato tra Landesmuseum e fotografia, mezzo di cui sei un’appassionata. Cosa ti affascina del mondo delle immagini?

Vivendo in una società molto basata sull’immagine mi affascina quanto si riesca a trasmettere anche solo con una fotografia e quanto possa essere interpretato della stessa. Esiste ovviamente una discrepanza tra quello che l’immagine mostra e ciò che non mostra, e dobbiamo tenerne conto quando allestiamo delle mostre utilizzando fotografie e video. Il nostro obiettivo è sempre quello di descrivere anche il “dietro le quinte”, l’intenzione, ciò che l’inquadratura non riprende e ha lasciato fuori. Trovo molto affascinante questo impatto che l’immagine ha sulle persone, ma, ed è importante sottolinearlo, più un metodo di comunicazione è forte maggiore è la possibilità che possa essere manipolato. A tale proposito mi viene in mente un reportage fotografico della nostra collezione. È stato realizzato durante la Seconda Guerra Mondiale e mostra la raccolta degli asparagi nel Canton Vallese. Vi si vedono solo donne impegnate nella raccolta, poiché gli uomini erano alla frontiera. Vi è però un problema: non vengono mostrati nel reportage i tantissimi internati polacchi che lavoravano negli stessi campi. Lo sappiamo perché disponiamo di tutte le foto scattate, ma che poi non sono state scelte per il reportage finale. Il significato di quella storia sarebbe completamente cambiato se fossero state mostrate anche le immagini scartate.

Come direttrice di un museo, trovi discutibile che il pubblico possa scattare foto al suo interno?

Stiamo valutando al momento la nostra politica delle fotografie. Lo scopo è quello di rendere fotografabile il maggior numero di opere esposte possibile. Per quanto riguarda le mostre temporanee, dove lavoriamo con molti prestiti, dipendiamo dai contratti delle istituzioni prestatrici che, in alcuni casi, ci chiedono di proibire gli scatti fotografici da parte del pubblico. 

Sguardo sulla mostra permanente «Archeologia Svizzera»

Dalla Cascina ai Monti, in quel di Madrano nel Canton Ticino, a Zurigo. Cosa ti manca della tua valle e cosa invece apprezzi di questa città?

È il contatto con la natura a mancarmi, soprattutto quando non ci torno per diverse settimane. Sono cresciuta in una famiglia di contadini, facendo ad esempio il fieno d’estate e raccogliendo legna in autunno. In città trovo estremamente affascinante i vari input che si ricevono, la possibilità di scoprire tanti mondi diversi e di parlare con molte persone differenti. Va detto che le nostre città non sono delle metropoli, quindi anche qui a Zurigo posso raggiungere un bosco in poco tempo, per cui non possiamo parlare di vita puramente urbana. Ciò di cui sento la mancanza regolarmente è la mia lingua madre e la possibilità di poter parlare italiano. È per questo motivo che un paio d’anni fa ho frequentato un corso di speakeraggio al Centro Teatro Attivo di Milano. Era un periodo in cui parlavo quasi esclusivamente svizzero tedesco, e l’assenza della cultura italiana era palpabile. Credo continuerà a mancarmi.

A proposito della lingua italiana. A Zurigo gli italiani rappresentano il gruppo linguistico non tedesco più numeroso. Eppure il Museo nazionale, a cui appartiene anche il Landesmuseum qui a Zurigo, è il solo museo in città ad avere il proprio sito Internet tradotto anche in italiano…

Molti non sono coscienti del fatto che in realtà l’italiano è parlato in tutta la Svizzera. Si tende a pensare solo alla Svizzera Italiana e non agli italiani di seconda o terza generazione sparsi per l’intera Confederazione. Va comunque detto che offrire un sito Internet in quattro lingue costa tantissimo, non solo in termini economici ma anche a livello di risorse, come le innumerevoli ore che devono essere investite per le traduzioni e il controllo di tutti i testi. Molti musei non possono permetterselo.

Vetrata di benvenuto – Un alabardiere con un abito colorato mi-parti e una dama vestita elegantemente, con borsa e portaposate appeso ad una cordicella, accompagnano lo stemma di Peter Mutarda. Vetrata araldica, intorno al 1554, provenienza: sala del consiglio del municipio di Le Landeron, vetri colorati, dipinti. Dalla mostra Colori rivelati dalla luce. La pittura su vetro dal XIII al XXI secolo, visitabile fino al 03.04.2022

Museo nazionale svizzero WEB Instagram Facebook YouTube Twitter

Immagine di copertina: Ritratto di Denise Tonella © Museo nazionale svizzero. Tutte le immagini: Courtesy Museo nazionale svizzero. Si ringrazia per la collaborazione: Andrej Abplanalp e Alexander Rechsteiner. Intervista realizzata l’8 luglio 2021

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