Il paesaggio come non lo avete mai visto. Astratto, fittizio e di seconda mano. Attraverso 80 quadri mozzafiato, il Kunsthaus Zürich celebra Gehrard Richter, il più importante artista tedesco contemporaneo. Me ne parla Cathérine Hug, la co-curatrice di Landschaft, un’esposizione che sprigiona un barlume di speranza, nel tormentato periodo che stiamo vivendo
Paesaggio. Un concetto relativamente recente. Ancor più nuovo è l’apprezzamento per la sua bellezza. Non è stato sempre così. Almeno fino al XIX° secolo quando, con la nascita del turismo, in particolare nelle Alpi svizzere, questa idea iniziò a sedimentarsi nella coscienza generale. La nostra ammirazione per il paesaggio è emersa quindi di pari passo con l’età industriale. E di fronte alla sua devastazione causata da guerre e disastri ecologici, il paesaggio è diventato sempre più rilevante, paradiso perduto delle nostre ricerche. Ecco perché l’esperienza collettiva dell’attuale pandemia, acuisce la nostra consapevolezza del valore dell’esperienza sensoriale, soprattutto quando l’oggetto di osservazione diventa una superficie per la proiezione di un desiderio. Sin dal 1957 il paesaggio è un motivo ricorrente e costante nelle opere di Gerhard Richter. Un soggetto che trova forza dalla diversità formale e dall’equivocità con cui viene trattato dall’artista, che così descrive il suo peculiare approccio al genere: “… i dipinti sono tanto migliori, quanto più belli, intelligenti, folli ed estremi, quanto più chiaramente percepibili e meno decifrabili sono le metafore di questa realtà incomprensibile”. Dipinti che contemporaneamente incarnano una riflessione critica sulla possibilità della pittura, che molti considerano perduta. Richter esplora queste possibilità in ogni direzione immaginabile. Dai paesaggi di seconda mano, osservati attraverso la lente meccanica della fotografia, a quelli innestati da ispirazioni romantiche, come i cieli sconfinati e gli orizzonti bassi di Caspar David Friedrich; dai paesaggi fittizi, rappresentanti spazi monumentali non riscontrabili nella realtà, a quelli sovraverniciati, nei quali al motivo figurativo rappresentato da una base fotografica viene applicata una materia cromatica astratta. Sebbene il paesaggio rappresenti una parte predominante dell’intera opera di Gerhard Richter, solo una mostra, che ebbe luogo allo Sprengel Museum di Hannover nel 1998, fu dedicata a questo aspetto della sua arte. 23 anni dopo il Kunsthaus di Zurigo è riuscito nell’impresa di riunire 140 opere datate tra il 1963 e il 2018, fra cui 80 evocanti dipinti e molti disegni su carta mai esposti prima. Realizzata in stretta collaborazione con l’autore, Paesaggio, fino al 25 luglio 2021, è una mostra più che mai necessaria in tempi di pandemia. Ho incontrato Cathérine Hug, la sua co-curatrice.

Cosa ti ha spinto a portare Gehrard Richter al Kunsthaus Zürich?
Gli artisti rinomati sono sempre di casa in questo museo. Già negli anni ’80 furono presentate mostre di alcuni dei più famosi pittori tedeschi, come Sigmar Polke o Georg Baselitz, ma ancora non si era riusciti ad esporre opere di Gerhard Richter. Una lacuna che il nostro direttore Kristoff Becker ha voluto fortemente colmare. Grazie anche all’interesse di Hubertus Butin, co-curatore di questa mostra e che, avendo stretti legami con lo studio dell’artista, ci ha proposto l’idea del paesaggio. Così, tre anni fa, abbiamo iniziato a lavorare insieme su questo progetto.
Hai avuto modo d’interagire personalmente con l’artista durante la fase organizzativa?
Il signor Richter ha 89 anni, con problemi di salute legati all’età che hanno limitato la nostra interazione diretta. A ciò si è aggiunta la pandemia, che ha ulteriormente influenzato l’intera fase organizzativa. Siamo stati tuttavia in costante contatto con Konstanze Ell, la direttrice del suo studio, e attraverso la corrispondenza via mail e le conversazioni telefoniche Gerhard Richter ha potuto seguire lo sviluppo del progetto da remoto, approvando la selezione dei dipinti da esporre e prestandoci molte opere della sua collezione privata. Ovviamente non si è trattato della consueta collaborazione diretta che si ha con un artista, ma è stata comunque un rapporto gratificante, sapendo che si fidava di noi per produrre un buon risultato.

Della sua vasta produzione come mai la mostra si concentra solo sui paesaggi?
Poiché negli ultimi anni innumerevoli sono state le retrospettive dedicate alle sue opere, volevamo rendere questa mostra unica e speciale. La sua produzione annovera ovviamente altri generi di dipinti, come i ritratti, l’astrattismo o le rappresentazioni dei simboli della morte, ma ci ha particolarmente sorpreso il gran numero di paesaggi dipinti da Richter nel corso della sua carriera, dal 1962 a oggi. Ciò ci ha permesso di presentare una vasta e variegata gamma dei suoi pezzi, pur rimanendo concentrati su questo tema, che può essere considerato una metafora del suo amore nel vivere la natura.
Qual è il posto che Gerhard Richter occupa oggi nel mondo dell’arte?
Il suo status è tuttora determinato dagli storici, dai critici, dai galleristi e da altri artisti. Si è sviluppato nel corso di svariati decenni, sin da quando iniziò a dipingere negli anni ’60 quando ancora viveva nella Germania dell’Est. Nel 1971 divenne professore alla Kunstakademie di Düsseldorf, dimostrando la sua influenza nel campo artistico di quel periodo. Negli Stati Uniti degli anni ’80 gli vennero dedicate importanti mostre, mentre nel decennio successivo molte istituzioni culturali cominciarono a promuovere e presentare le sue opere.

Cosa le rende così uniche?
Il suo successo globale è dovuto al fatto di aver cercato di “reinventare” una forma d’arte, come quella della pittura, particolarmente “convenzionale”. Basati sulla fotografia, i suoi dipinti hanno contribuito a portare la pittura a un nuovo livello di “realtà”, nonostante abbia esplorato tecniche astratte e miscelato stili opposti. È questa fusione di realismo e astrazione che rende il suo lavoro unico, oltre a essere un pittore tecnicamente brillante anche quando si parla di design, composizione ed esecuzione delle sue opere. Il suo è un lavoro sensuale, immediatamente accessibile per chi lo guarda.
Perché realizzare un dipinto partendo da una fotografia?
Ritengo che i dipinti basati sulle fotografie fossero un’importante riflessione sull’estetica dei mass media già negli anni ’60, basti pensare ad artisti come Claes Thure Oldenburg o Andy Warhol. L’archivio fotografico di Gerhard Richter si concentrava su immagini amatoriali delle più banali. Ne è un esempio interessante Vierwaldstättersee: il quadro sembra essere stato dipinto partendo da un comune scatto fotografico, ma nel suo archivio questa fotografia non è presente. Apparentemente si tratta di un’opera basata su un ricordo che l’artista ha trattenuto della visita sul lago di Lucerna, meglio noto come lago dei Quattro Cantoni. È sempre stato interessato ai metodi abituali con cui guardiamo e interpretiamo le immagini e il mondo che ci circonda. Il dipinto di una fotografia non è ovviamente una semplice copia di quello scatto: alcuni dettagli vengono modificati, come i limiti dell’inquadratura o i contorni, una nuova morbidezza nella messa a fuoco è ottenuta agendo su effetti di dissolvenza e di pennello… Il risultato è una composizione dalla caratteristica onirica. Ecco questi sono alcuni degli elementi che rendono interessante una pittura basata sulla fotografia.

Ritieni che le opere di Gerhard Richter possano veicolare messaggi politici o filosofici?
Non credo che lo faccia in maniera deliberata, soprattutto perché originario di un paese noto, nella sua storia recente, per aver usato l’arte come propaganda. Di natura politica sono sicuramente il ciclo intitolato18 ottobre 1977, risultato della sua fascinazione per il gruppo terroristico della Rote Armee Fraktion (RAF), attivo in Germania dall’inizio degli anni 70, e i dipinti basati su quattro fotografie scattate nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Tempo fa in un’intervista lo sentii affermare che fare arte fosse essenziale per la qualità della sua vita, sottintendendo l’ideale romantico che vuole la bella arte uno strumento utile al miglioramento della società, il che, in qualche modo, è un chiaro messaggio politico. In merito ai dipinti paesaggistici, penso che Gerhard Richter stia semplicemente sottolineando la bellezza del nostro mondo, il che implicherebbe l’invito a collaborare tutti insieme per proteggerlo.
Nonostante la persistenza della pandemia come mai la mostra non è disponibile online?
Non abbiamo mai considerato questa opzione e in ogni caso non credo che Gerhard Richter sarebbe stato d’accordo. La poesia che le sue opere comunicano indistintamente alle variegate tipologie di spettatori, deve essere necessariamente vissuta fisicamente nel museo, non in maniera virtuale. È essenziale condividere e godere di cose belle come l’arte in un forum pubblico, un elemento che non può essere ovviamente replicato online. Il senso della scala delle opere , i loro piccoli dettagli o il senso di intimità creato dallo stare di fronte all’opera originale, sono tutti aspetti che possono essere apprezzati solo presenziando fisicamente. Sul sito Internet del museo abbiamo condotto un lavoro di divulgazione destinato al pubblico, ma vogliamo che persone vengano effettivamente al Kunsthaus Zürich per vivere personalmente l’esperienza visiva e sensoriale.

Cosa speri che i visitatori si porteranno con sé dopo aver visto questa mostra?
Mi auguro che il pubblico venga sorpreso dall’incredibile diversità del lavoro di Gerhard Richter e possa essere ispirato dal modo in cui l’artista sia riuscito a superare le proprie insicurezze ottenendo un riconoscimento di livello mondiale. Spero infine che i visitatori possano semplicemente godere di dipinti d’incredibile bellezza, specialmente in un periodo così complicato come quello causato dalla pandemia.
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Immagine di copertina: Gerhard Richter, Ghiaccio, 1981 Olio su tela, 70 x 100 cm Collezione Ruth McLoughlin, Principato di Monaco Tutte le immagini: Courtesy Kunsthaus Zürich. Si ringrazia per la collaborazione: Kristin Steiner e Christopher Hux