Dopo un pluripremiato tour per i festival di mezza Europa, esce nei cinema Nemesis. Un film che affianca alla rigorosa estetica un emozionante discorso di denuncia sociale. A dirigerlo è Thomas Imbach, che indaga con immagini compulsive e sistematiche la dissoluzione dello spazio storico. L’ho incontrato
Un cantiere grande come 15 campi da calcio. Un immenso non-luogo dove si susseguono operai edili, escavatori, cani poliziotto, adolescenti che si arrampicano su una gru, una coppia che si bacia, scatti fotografici, feste di compleanno… La macchina da presa cattura implacabile tutto ciò che scorre davanti il suo obiettivo. Dietro, Thomas Imbach che, per la sua virtuosa maestria nel muoversi tra documentario e fiction, è considerato uno dei cineasti svizzeri più innovativi e rinomati a livello internazionale. Dalla finestra del suo appartamento è stato testimone della metamorfosi del Güterbahnhof, prosperoso scalo merci ferroviario della stazione centrale di Zurigo, sacrificato per lasciar posto al Polizei- und Justizzentrums Zürich (PJZ), il nuovoCommissariato di polizia e Centro di giustizia della città, pronto ad accogliere nel suo carcere 300 prigionieri, 70% dei quali stranieri. Un vero e proprio atto di “vandalismo architettonico”, come Imbach stesso lo definisce. Nemesis è il risultato di sette anni d’instancabili osservazioni, intersecati da ibrida narrazione e ricerca formale. Dove gli iniziali rumori quasi animaleschi delle ruspe affamate dello storico edificio, lasciano poi spazio alle voci strazianti degli immigrati irregolari in attesa di essere espulsi dalla Svizzera. La dissoluzione del vecchio scalo merci si trasforma per il regista in riflessione personale sul suo stesso passato, ma anche sul futuro della nazione in cui vive. Iper sicura e sempre più omogenea.

Cosa ti ha spinto a iniziare questo progetto durato poi sette anni?
È stata la demolizione del Güterbahnhof. Vivendoci accanto conoscevo molto bene questo edificio. Il progetto di demolizione-ricostruzione iniziò a essere discusso pubblicamente già nel lontano 2005. Quando molti anni dopo divenne chiaro che la demolizione sarebbe effettivamente avvenuta, cominciai i preparativi per un film con l’intento di testimoniare e documentare questo processo. Dalla mia finestra avevo già girato Day Is Done; ma se quel documentario era un racconto sulla vita che osservavo scorrere davanti a me, Nemesis si è focalizzato invece sulla trasformazione che interessava direttamente il quartiere in cui vivo. Fino all’ultimo ero convinto che la demolizione non sarebbe mai avvenuta, ritenendo da sempre l’intero progetto edilizio talmente stupido. Avendo il privilegio di abitarvi così vicino, mi sono sentito obbligato a esserne testimone.
A quale “nemesi” fai riferimento nel titolo del film?
Non avrei mai osato utilizzare questo termine così carico di significati e già spesso sfruttato per titoli di libri e altri film. Tuttavia, quando ho notato che uno degli operai edili indossava una T-shirt con stampata proprio questa parola, mi è subito sembrata perfetta per la storia che stavo raccontando. Non c’è una spiegazione particolare per la scelta di questo titolo; numerosi sono i livelli della mia personale “vendetta” verso questo progetto edilizio. La pandemia ne ha aggiunto un altro ancora più forte, anche se in realtà ho terminato le riprese poco prima che il coronavirus si diffondesse.

Cosa c’è di moralmente sbagliato nel distruggere il Güterbahnhof?
Si tratta di una struttura centenaria architettonicamente significativa. Spazi come questi non esistono più e non possono essere replicati a causa dei costi di costruzione. Non ritengo debba essere vietato distruggere vecchi edifici, ma questo scalo merci aveva dei palesi meriti per rimanere ancora in piedi. Inoltre questo edificio storico stava per essere sostituito con il nuovo Commissariato di polizia e del Centro di giustizia (PJZ). Una bizzarra decisione che sembra si basi sull’idea che sarebbe più efficiente processare i criminali e poi incarcerarli in un unico luogo. Una proposta amministrativa, pianificata da burocrati, che mi ricordano i cosiddetti “Schreibtischtäter”, temine tedesco per indicare quelle persone che commettono crimini seduti alle loro scrivanie. La proposta per il nuovo PJZ fu approvata a livello referendario con un astuto trucco politico: se i cittadini avessero votato a favore, avrebbero potuto utilizzare la vecchia caserma situata in una zona centrale di Zurigo.
Ho notato un legame personale con la prima parte del film incentrata sulla distruzione del passato…
Essendo emotivamente molto legato al vecchio scalo merci ferroviario, la sua demolizione mi ha particolarmente provato a livello psicologico. Durante questo processo ho pensato ad altre perdite che avvengono nel corso della nostra vita, come quando muoiono membri della propria famiglia o gli amici stretti, e di cui parlo nel film. Ma a un certo punto mi sono trovato a guardare verso il futuro, a pensare al nuovo “vicino di casa” che avrebbe sostituito Güterbahnhof, inducendomi a iniziare una ricerca sui rifugiati che avrebbero abitato il nuovo PJZ in attesa della deportazione.

Quando i rifugiati sono entrati a far parte della storia di Nemesis?
Nel preciso instante in cui divenne chiaro che la prigione sarebbe stata costruita proprio su questo sito. Così ho iniziato a domandarmi chi sarebbero stati i miei nuovi “vicini di casa”. Chiedendomi come ci si dovesse sentire a essere detenuti in una prigione senza essere effettivamente condannati. A tale proposito avevo a disposizione molte meravigliose testimonianze raccolte dalla mia collaboratrice Lisa Gerig nel corso delle sue visite alla prigione dell’aeroporto di Zurigo fin dal 2014. Avevo anche considerato di inserire materiale relativo ai politici coinvolti nel progetto del nuovo PJZ, ma alla fine ho deciso di escludere tale aspetto perché troppo complicato da comprendere, perfino per gli zurighesi. Concentrando l’attenzione sui rifugiati, mi ha permesso di trasmettere un messaggio più universale, rispetto a quello che sarebbe scaturito da vicende politiche locali.
Il film si conclude prima del completamento del nuovo PJZ; quando hai ritenuto che fosse giunto il momento di terminare le riprese?
Non m’interessava attendere che l’edificio fosse ultimato e pronto per l’uso. Ho deciso di cessare le riprese non appena gli operai edili avessero finito di lavorare alle parti esterne della struttura. L’edificio grezzo era a quel punto più che sufficiente. Avevo accumulato già così tanto materiale che sapevo di averne abbastanza per lavorare sul mio film, che comunque non prevedeva di documentare l’inaugurazione del nuovo PJZ.

Assegnandoti il premio per la miglior fotografia, i giurati dell’International Documentary Filmfestival Amsterdam 2020 hanno sottolineato la rara capacità nel rendere l’obiettivo della macchina da presa così intrinseco alla storia che stai raccontando. Come si differenzia Nemesis da Day Is Done, il tuo precedente lavoro d’osservazione?
All’inizio del progetto Nemesis alcune persone erano convinte che non sarei stato in grado di realizzare qualcosa di originale e che il risultato si sarebbe limitato a una copia di Day Is Done. Sono invece due film completamente differenti: Day Is Done racconta di una vita interiore, Nemesis, al contrario, di un punto di vista personale sulla trasformazione di un monumento storico. Sebbene li abbia entrambi filmati dalla stessa finestra, sono per lo spettatore esperienze visive completamente diverse.
In che modo l’utilizzo della pellicola 35 mm ha influenzato le riprese?
L’ho scelta innanzitutto per la familiarità che ho con questo supporto, l’unico che possa garantire la coerenza della qualità dell’immagine nell’arco di un lungo periodo di tempo. Usare la pellicola non è certamente economico, ma avevo già investito nell’attrezzatura necessaria. Il 35 mm costringe a essere più parchi con la quantità di riprese a vantaggio del montaggio. Il supporto digitale ovviamente permette di registrare centinaia di ore, rendendo però il montaggio alla fine estremamente complicato. Piuttosto che trascorrere ore e ore davanti la finestra in attesa che accadesse qualcosa, ho preferito guardar fuori di tanto in tanto. Se in quel momento ritenevo di vedere qualcosa d’interessante, lo filmavo per un breve periodo. Una scelta d’approccio che se da un lato mi ha fatto perdere molti eventi importanti, dall’altro mi ha aiutato a concentrarmi. La pellicola offre infine una migliore qualità estetica con la luce, col colore e con le sfumature del tempo catturate.

Il modo brillante con cui vengono uniti gli eterogenei piani narrativi della storia, ha convinto la giuria del Dok.fest München ad assegnare a Nemesis il DOK.edit Award 2021 per il miglior montaggio. Quali sono state le sfide che, col tuo co-montatore David Charap, hai dovuto affrontare?
Non avendo utilizzato molti effetti speciali, a parte quelli derivanti dall’uso del rallenty, per altro già in fase di ripresa, non mi sono confrontato a particolari sfide tecniche. Le reali sfide riguardavano più che altro questioni di estetica e di narrazione: come ad esempio riuscire a creare un “universo” che funzioni internamente o come trasmettere il senso di una storia senza una sceneggiatura preesistente. In realtà tutto è andato molto bene perché con David, partner affidabilissimo, ho condiviso un processo molto creativo, concludendo il montaggio in alcuni fine settimana piuttosto che estenderlo in un periodo di tempo più lungo.
Ai recenti Premi culturali svizzeri a Peter Bräker è stato assegnato il riconoscimento per il miglior Sound Design. Quanto suono è stato inizialmente registrato in fase di ripresa e quanto ha dovuto invece essere creato in studio?
Il suono è stato in effetti la grande sfida tecnica affrontata. Non si trattava solo di ottenerlo, ma doveva essere funzionale all’intera storia per lo spettatore finale. Disponevo solo di qualche rumore atmosferico, essendo la macchina da presa e relativo microfono, troppo lontani dal luogo dell’azione. Il resto è stato tutto ricreato in studio da Peter, come ad esempio le conversazioni fra i lavoratori o gli altri suoni di sottofondo.

Numerosi sono i “partecipanti” elencati nei titoli di coda. Come hai bilanciato le riprese con le preoccupazioni per la privacy delle persone filmate?
Le ho semplicemente trasformate in “attori/non attori” nel mio “universo”. A causa della distanza che si interponeva tra me e l’azione che documentavo, non avevo modo di chiedere il permesso alle persone che riprendevo. Non mi sono mai nascosto alla loro vista e il mio principio guida è stato quello di presentare ogni partecipante del fim con rispetto, non rivelando nulla di privato o incriminante. È accaduto che una persona mi fece un segnale per chiedermi cosa stessi facendo, allora scesi in strada e gli spiegai il progetto. Altre persone applaudivano o salutavano quando mi notavano. Molti operai hanno apprezzato il fatto che fossi sempre lì alla finestra la mattina presto, quando iniziavano a lavorare. Con il tempo sono riuscito a costruire un contatto con le persone che stavo osservando, capendo che fosse mia responsabilità essere saggio in ciò che avrei usato nel montaggio finale.
Quindi non hai dovuto far firmare nessun tipo di liberatoria per l’utilizzo della loro immagine?
No. La mia soluzione è stata quella di ringraziarli alla fine per la loro partecipazione

Cosa speri che il pubblico porti con sé dopo aver visto questo film?
Ogni spettatore potrà sperimentare univoche sensazioni. Sono certo che con alcuni dei soggetti rappresentati, molti zurighesi vi troveranno connessioni personali. C’è uno strano momento nel film in cui una “capsula del tempo”, contenente un mattone del vecchio edificio, viene trasportata per essere collocata nel cantiere del nuovo PJZ. Ecco, ho la sensazione che Nemesis sia come quell’oggetto in grado di catturare questo particolare periodo storico, documentando al tempo stesso la dissoluzione del Güterbahnhof. Spero di essere stato in grado di presentare al pubblico alcune delle migliori esperienze di cui sono stato testimone durante sette anni.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Attualmente sto lavorando a un documentario sul pellegrinaggio tra Zurigo e il lago di Ginevra, con la partecipazione di una speciale celebrità. Poi mi dedicherò a un lavoro di finzione, basato sull’adattamento di un’opera letteraria dell’austriaco Arthur Schnitzler. Per ora non ho in programma di girare altri film dalla mia finestra.
Nemesis esce il 27 maggio 2021 nei cinema della Svizzera tedesca distribuito da Frenetic Films. A Zurigo è proiettato al RiffRaff con sottotitoli in inglese.
Immagine di copertina tratta da Nemesis. Tutte immagini: Courtesy Okofilm Productions. Si ringrazia per la collaborazione: Christopher Hux
Bravo Fausto !!!
❤️❤️❤️
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