Con The Sense of Things, l’istallazione sonora creata dal coreografo William Forsythe, l’ampliamento del Kunsthaus Zürich si svela in anteprima. Un’esperienza immersiva che fino al 24 maggio 2021 farà risuonare il nuovo spazio realizzato dall’archistar David Chipperfield. Me ne parla Mirjam Varadinis, curatrice di un evento imperdibile
Umanità, architettura, arte. È il trittico che ha ispirato il primo incontro con il nuovo edificio del museo. Raddoppiando i suoi spazi e diventando il più grande museo d’arte svizzero, il Kunsthaus Zürich ha invitato l’artista e coreografo americano William Forsythe a produrre una composizione sonora per questa irripetibile occasione. Nel suo intervento acustico, campane sconsacrate di diverse dimensioni, altezze e timbri vengono attivate in una composizione contrappuntistica ampiamente distribuita negli spazi del nuovo ampliamento. Considerando l’edificio come un immenso corpo sonoro, Forsythe propone che i visitatori accordino individualmente la composizione attraverso le loro peregrinazioni nel nuovo museo, incarnando così la sua proposta coreografica. Con questa rinnovata collaborazione, il Kunsthaus Zürich e William Forsythe vogliono offrire al più vasto pubblico possibile un luogo in cui, dopo un tremendo sconvolgimento sociale come la pandemia, la comunità possa essere nuovamente ricreata. Primissimo intervento artistico nel nuovo spazio adiacente l’Heimplatz, l’installazione The Sense of Things, che potrà essere vissuta solo fino al 24 maggio 2021, incoraggia il visitatore a costruire un rapporto diretto con l’architettura che ospiterà alcune delle collezioni più vibranti e significative del prestigioso museo zurighese. Un’occasione imperdibile per osservarla così da vicino, analizzandone l’identità e le finiture: dalle pareti in cemento a vista, fino ai dettagli in materiali pregiati quali il legno chiaro di quercia, l’ottone lucido e il velluto verde smeraldo. Dopo questa prima performance sonora, l’edificio chiuderà nuovamente e la musica lascerà il posto alle prime mostre in programma in autunno. Ho intervistato Mirjam Varadinis, curatrice dell’evento e responsabile della Collection of Prints and Drawings del Kunsthaus Zürich.

Come mai hai scelto William Forsythe per celebrare l’anteprima dell’ampliamento del Kunsthaus Zürich?
L’idea è nata non appena ho saputo che, a lavori terminati, il nuovo edificio del museo sarebbe rimasto “vuoto” qualche settimana prima che si cominciasse a trasportarvi le opere d’arte in vista della sua inaugurazione ufficiale il prossimo autunno. Uno stato di sospensione che accade raramente nella vita di un museo. Un momento straordinario che mi ha ispirato e convinto a organizzare questa speciale esperienza. Alle consuete opere d’arte presentate al pubblico appese a un muro, volevo contrapporre una relazione tra il corpo del visitatore e l’immensa architettura dell’edificio. Nonostante il concetto suggerisca un approccio coreografico, non volevo ingaggiare un artista che si limitasse a creare una coreografia interpretata da danzatori professionisti. Piuttosto cercavo qualcuno che trovasse un modo che permettesse al pubblico di potersi muovere attraverso questo immenso spazio vuoto, sperimentandone l’architettura senza percorsi prestabiliti. Conosco William Forsythe da parecchio tempo avendo collaborato con lui in diverse occasioni. Sono anche a conoscenza del suo concetto “esteso” di coreografia: per lui, danza e coreografia sono due entità separate. Da una parte le coreografie realizzate per essere portate in scena da corpi di ballo, dall’altra quelle che lui chiama “Choreographic Objects”, ovvero installazioni che incoraggiano il pubblico a muoversi in modo variegato attraverso un ambiente, concentrandosi sulla personale relazione fisica con l’evento circostante. È da questo aspetto del suo lavoro, esplorato già dagli anni ’90, che è nato il progetto. Gli ho domandato se volesse presentare una proposta per questa anteprima, e lui ha immediatamente accettato con entusiasmo. Così abbiamo intrapreso insieme questo viaggio. Nonostante William Forsythe abbia una lunga relazione con Zurigo, arricchita dalla messa in scena di coreografie per il corpo di ballo del Teatro dell’Opera e dello Schauspielhaus, non aveva mai creato nulla nell’ambito delle arti visive prima di questo evento.

Che tipo di interazione hai avuto con lui mentre il progetto veniva pianificato e organizzato?
Lo invitati per una prima visita quattro anni fa, quando ancora si poteva viaggiare e il mondo era diverso da quello in cui viviamo oggi. Insieme abbiamo esplorato diversi concetti mentre parallelamente William Forsythe conduceva ricerche sull’edificio e su alcune delle opere artistiche che verranno qui ospitate, inclusa la collezione Bührle con la sua problematica storia. Il progetto si è focalizzato da subito sulle campane da chiesa, con varie motivazioni, tutte interessanti: le campane da chiesa sono state spesso fuse per fabbricare armi durante la Seconda Guerra Mondiale, sono inoltre strumenti acusticamente complessi, e vengono infine suonate per celebrare importanti occasioni che scandiscono il flusso della vita, come le nascite, i matrimoni o i funerali. Entrambi abbiamo pensato che utilizzare campane per l’evento sarebbe stata la giusta strada da percorrere, anche se in realtà trovare quelle che si possono ammirare nell’installazione non è stato un compito facile.

Puoi spiegare il concetto alla base della parte acustica dell’evento e cosa può sperimentare il pubblico?
Poiché l’edificio è ancora vuoto volevamo riempirlo con qualcosa e il suono era la soluzione più ovvia dato che le onde sonore possono riverberarsi liberamente in tutto lo spazio. Dare la priorità all’udito in un ambiente che in condizioni normali viene vissuto prevalentemente con la vista, era anche un modo per ottenere un’esperienza completamente differente, attivando più sensi. La composizione creata da William Forsythe si basa su otto campane, provenienti da due chiese di Düsseldorf e collocate nelle varie sale dei due piani dell’estensione realizzata da David Chipperfiel. Le campane sono intenzionalmente raggruppate per creare dissonanze e interferenze sonore quando suonano a intervalli diversi. Un visitatore che entra nella sala principale sente immediatamente il suono delle campane, ma non ha idea di dove siano fisicamente; in quel preciso istante inizia la ricerca per scoprirne la posizione. Per questa installazione abbiamo deciso di non rendere disponibile la consueta mappa del museo, lasciando decidere ai visitatori come esplorare il nuovo edificio per trovare le campane. Sono poi loro a scegliere come interagire con questi particolari strumenti musicali. Facendo attenzione all’intensità del suono, vi ci si può avvicinare, starvi sotto o persino toccarli per sentirne le vibrazioni. Il suono può essere abbastanza sorprendente, ed è proprio la sua peculiarità a convincere il pubblico a muoversi attraverso l’edificio, sollecitando emozioni legate ai ricordi personali che si hanno delle campane. La composizione sonora dura circa 40 minuti, ripetendosi a ciclo continuo, senza pause nel corso dell’intero arco della giornata. Non si partecipa a uno spettacolo lineare con un inizio e una fine, piuttosto a un’esperienza immersiva e sensoriale in un ambiente sonoro.

Come si sviluppa invece la componente coreografica?
L’installazione è creata ad arte per permettere agli spettatori di esprimersi con movimenti fisici univoci mentre attraversano gli spazi che ospitano l’evento e alcuni visitatori potrebbero effettivamente mettersi a danzare. Ho visto alcune persone iniziare a ondeggiare e muoversi in risposta ai suoni, altra sedute ad ascoltare questa musica, altre ancora toccare le campane. Ogni visitatore finisce per creare una personale coreografia interagendo con le campane, l’architettura e gli altri partecipanti. Escludendo sin dall’inizio la presentazione di una performance di ballerini, abbiamo preferito che fosse il pubblico partecipante attivo dell’evento, piuttosto che esserne semplicemente l’osservatore passivo.

Il protagonista principale di questa anteprima è indubbiamente l’edificio. Quali sono a tuo parere i punti salienti della nuova architettura realizzata da David Chipperfield?
Trovo interessante che sia l’edificio stesso a esibirsi attraverso l’intervento creato da William Forsythe. A tale proposito abbiamo installato dei subwoofer per migliorare e amplificare le frequenze più basse dell’esperienza acustica. L’edificio sembra effettivamente tremare quando è sollecitato da questi dispositivi, facendolo praticamente “suonare”. Molto belli sono il design e le proporzioni delle sale, così come la qualità della luce del giorno che illumina tutti gli spazi. Per questo evento abbiamo deciso di non servirci dell’illuminazione artificiale.
Nonostante non sia ancora formalmente aperto, sono state appositamente installate alcune opere d’arte. Cosa può già ammirare il pubblico?
Ne sono state scelte tre, visibili girando per l’edificio, che per questa anteprima è agibile al 95%: un lavoro dell’artista zurighese Urs Fischer, un imponente “mobile” dello scultore statunitense Alexander Calder e un grande dipinto del francese Robert-Victor-Felix Delaunay.

La tua è la prima curatela in questo nuovo spazio. Che sensazioni stai provando?
È tutto molto eccitante e commovente. William Forsythe, che vive negli Stati Uniti, non ha potuto raggiungere Zurigo a causa della situazione pandemica, per cui per un lungo periodo mi sono ritrovata sola a lavorare in questo immenso edificio. Da un giorno all’altro questo spazio si è riempito di persone e vederle interagire con l’installazione sonora e l’architettura dell’edificio è davvero molto emozionante. Penso sia un’esperienza davvero unica, che rimarrà nella memoria dei visitatori così come nella storia di questo museo.
Quale sarà il tuo prossimo progetto per il Kunsthaus Zürich?
Una mostra su Yoko Ono, che verrà presentata nella primavera del 2022.
Kunstahus Zürich WEB Instagram Facebook YouTube
Immagine di copertina: Kunsthaus Zürich, edificio Chipperfield William Forsythe. The Sense of Things Vista della mostra 2021 Foto © Franca Candrian, Kunsthaus Zürich Opera © William Forsythe. Tutte le immagini:Courtesy Kunsthaus Zürich. Si ringrazia per la collaborazione: Kristin Steiner e Christopher Hux