Caro pubblico immaginario,

Foto di gatti divertenti con didascalie inquietanti condivise sui social media. Immagini digitali che circolano invisibili attraverso l’infrastruttura di Internet. Lavoratori anonimi assunti online per rimuovere contenuti web moralmente dubbi. Da sempre affascinati dal lato più misterioso e oscuro della Rete, Eva & Franco Mattes ne indagano gli effetti sull’etica e la politica del nostro quotidiano. La loro prima mostra monografica in un museo ci aiuta a riflettere su come le immagini definiscano sempre più il nostro comportamento privato e sociale. Questa la mia intervista pubblicata in anteprima sul magazine italiano KULT

Se qualcosa avesse potuto prepararci alla realtà di una pandemia globale, in grado di tenerci incollati ai nostri schermi giorno dopo giorno, indicheremmo senza indugio i lavori artistici di Eva & Franco Mattes che, sin dalla metà degli anni Novanta, indagano le dinamiche d’approccio alla Rete. Le stesse che in questi ultimi mesi molti di noi stanno sperimentando sempre più consapevolmente e incessantemente, complice una vita sociale per la maggior parte ridotta e, allo stesso tempo, riattivata virtualmente da Internet. In effetti, a poco più di anno dall’inizio della “nuova normalità”, e con una data d’apertura della mostra rimasta a lungo incerta, anche il titolo, che il dinamico duo ha suggerito per la sua prima esposizione in un contesto museale, potrebbe assumere un significato fin troppo letterale. Dear Imaginary Audience, magistralmente curata da Doris Gassert e Fabio Paris col supporto di Mona Schubert, e allestita fino al 24.05.2021 al Fotomuseum Winterthur nei pressi di Zurigo, indica la presenza pervasiva e lo status dominante della fotografia nel ventunesimo secolo. Circolando attraverso canali digitali e piattaforme online, l’immagine in rete presenta un cambiamento radicale nelle pratiche fotografiche, sempre più espanse e sovversive. Caratteristiche tracciate in modo impeccabile dalle opere di Eva & Franco Mattes che, dissezionando meticolosamente gli effetti di Internet sulla nostra vita quotidiana, dimostrano quanto l’immagine in rete porti con sé non solo la riconfigurazione del soggetto in quanto spettatore online, ma anche la graduale ristrutturazione del visibile e dell’immaginario nell’era dei social media. Con un taglio cupamente umoristico, i due artisti italiani con studio a New York trasformano la condizione dell’immagine in rete in un’esperienza spaziale unica. Attraverso disposizioni accuratamente studiate di schermi, infrastrutture e persone, le loro opere rompono e re-inquadrano l’interazione abituale e spesso inconscia degli spettatori con i contenuti online. Costringendoci in posizioni fisiche e morali a volte scomode e sgradevoli. 

Portrait of Eva & Franco Mattes, 2019. Photo: Delfino Sisto Legnani and Melania Dalle Grave © Eva & Franco Mattes

Cosa vi ha spinto a creare arte su Internet e per Internet?

Eva Mattes L’isolamento. Quando abbiamo iniziato a fare arte vivevamo in una piccola città italiana e ci sentivamo completamente isolati dal mondo. Appena ci è stato possibile abbiamo iniziato a viaggiare e così abbiamo scoperto la Net Art, e attraverso Internet siamo entrati in contatto con altri artisti.

Franco Mattes Internet ci ha permesso di bypassare tutti gli intermediari. Abbiamo potuto fare arte e distribuirla, raggiungendo anche un vasto pubblico, senza avere contatti nel mondo dell’arte, senza conoscere galleristi, curatori o giornalisti.

Come si è evoluta la vostra visione della Net Art parallelamente allo sviluppo che Internet ha avuto nel corso degli ultimi 20 anni?

EM Abbiamo sperimentato in prima persona la prima fase di Internet, quella “utopica”, dove tutto era ancora da creare e sembrava che tutto fosse possibile. Era entusiasmante pubblicare i nostri lavori in rete e vedere la reazione della gente. Col passare del tempo la rete è cambiata moltissimo, è diventata più centralizzata, più commerciale e più controllata. La nostra visione utopica di Internet si è lentamente trasformata in una sorta di distopia, così anche i nostri lavori si sono adattati per riflettere questi cambiamenti.

FM Se nei primi anni eravamo ossessionati dalla visibilità, dall’over sharing, dal raggiungere un’audience sempre più vasta, oggi al contrario cerchiamo quasi clinicamente soluzioni di invisibilità, come sottrarsi all’attenzione. Trovo sia molto liberatorio poter ignorare gli strumenti che quantificano la nostra attenzione, i nostri comportamenti e le nostre emozioni.

Eva & Franco Mattes, Dark Content, installation view BAK, Utrecht, 2018. Photo: Tom Janssen © Eva & Franco Mattes

In The Social Dilemma, i social media sono dipinti come un pericolo per la società. Quali sono i rischi e i benefici dell’evoluzione delle nostre connessioni sociali online?

FM È un ottimo documentario e chiunque l’abbia visto e conosca la storia di Internet non può che condividere la tesi centrale, ovvero che Internet si sia evoluta sempre più verso un modello commerciale basato sulla pubblicità e le conseguenze di questo modello. Facebook o Google non guadagnano soldi direttamente dai propri utenti, ma dalla vendita delle informazioni che raccolgono su di noi. Se hai comprato A e poi compri B, prevedo che acquisterai C; questo è il dato che andrò a vendere al migliore offerente. E, dopo la previsione, il passaggio successivo è influenzare direttamente questi comportamenti: prevedendo che comprerai C, allora perché non acquisti direttamente C? Più problematica e insidiosa è la fase in cui si sostituisce il bene materiale con qualcosa di più intangibile, come le opinioni. Se in passato hai letto un particolare articolo, se ti sei espresso a favore o contro un argomento, allora penso che tu possa essere interessato a votare per la Brexit o per Trump. Essere in grado di influenzare il voto e la visione del mondo è una questione molto delicata, che non lascerei nelle mani di un gruppo ristretto di aziende Californiane.

Perché avete iniziato a creare opere con un un diretto riferimento alla cosiddetta “darknet”?

EM L’internet che usiamo quotidianamente ruota attorno a pochi grandi epicentri come Facebook, Google e Amazon, sono loro il vero “Lato Oscuro”, dove vengono raccolti i nostri dati per essere profilati ed eventualmente influenzati. Poi esiste una parte della rete, chiamata darknet, che è anonima. Viene spesso dipinta come un luogo dove, per via dell’anonimato, si possono comprare armi, droga e pornografia, ma è proprio l’anonimato a renderla interessante. Dopotutto perché il voto è anonimo? Perché non può essere influenzato, perché ti permette di essere libero di scegliere.

Eva & Franco Mattes, screenshot from The Bots, 2021 © Eva & Franco Mattes

Il concetto di censura è sempre più rilevante considerato quanto materiale illegale, offensivo e pericoloso circoli in Internet. Un argomento esplorato dal vostro lavoro The Bots e trattato anche dal documentario The Cleaners. Come dovrebbe essere gestita la censura in rete, mantenendo un equilibrio tra libertà di parola e accesso alle informazioni?

FM Sarah T. Roberts, una delle consulenti per la realizzazione di The Cleaners, ha collaborato anche al nostro lavoro Dark Content, che ha poi ispirato la video installazione The Bots, una ricerca sulle vite dei content moderators, i lavoratori che rimuovono contenuti da Internet per conto dei colossi della Rete. Fanno l’opposto di ciò che facciamo noi tutti: noi aggiungiamo informazioni, fotografiamo, pubblichiamo, carichiamo, archiviamo, condividiamo, tagghiamo, mettiamo i “mi piace”, ecc. Mentre loro rimuovono. Ma la questione è molto complessa: chi decide cosa va rimosso e perché? A deciderlo sono un gruppo di aziende, per lo più americane, più specificatamente californiane, che stabiliscono le linee guida. I moderatori di contenuti hanno il compito di applicare queste regole, e quindi di decidere se una immagine va tolta perché considerata pericolosa o controversa; un lavoro che non può essere eseguito automaticamente da un programma o da un algoritmo. Questo alone di invisibilità non ci permette di percepire l’effettiva influenza che queste aziende hanno sui contenuti di Internet. Se dei media tradizionali conosciamo la precisa affiliazione politica, ad esempio sappiamo bene che Repubblica o la CNN hanno una determinata visione del mondo, differente da quella del Giornale o di FOX News, ignoriamo completamente il pensiero politico delle piattaforme online, come YouTube, che consideriamo un semplice contenitore di video. Eppure questi servizi hanno indubbiamente una grandissima influenza sulla nostra visione del mondo.

Eva & Franco Mattes, screenshot from Hannah Uncut, 2021 © Eva & Franco Mattes

L’onnipresente riconoscimento sociale attraverso click, like e condivisioni online, che rende sempre più la nostra autostima dipendente dallo sguardo e dal giudizio degli altri, è alla base della video installazione Hannah Uncut. Come l’avete concepita?

FM Abbiamo pubblicato una open call in Internet chiedendo se ci fosse stato qualcuno disposto a vendere il proprio telefono cellulare per 1000 dollari, incluse tutte le immagini contenute, specificando che le avremmo utilizzate per un’opera artistica e che sarebbero diventate pubbliche. 34 persone hanno risposto dando la propria disponibilità e fra loro abbiamo scelto una ragazza inglese di nome Hannah. Col materiale del suo telefonino abbiamo realizzato un video composto da 1500 immagini in sequenza, senza alcun tipo di filtro, modifica o giudizio. L’unico nostro intervento è stato quello di assegnare un tempo di proiezione diverso ad ogni singola slide, emulando il ritmo col quale siamo abituati a sfogliare le immagini sul nostro smartphone: andiamo più veloci quando ci annoiamo, rallentiamo o ci fermiamo quando vediamo qualcosa che ci attira. Il video mostra sei mesi della vita di Hannah, raccontata dalle immagini scattate da lei. Fotografie più o meno interessanti, più o meno banali, più o meno ripetitive, da quelle delle vacanze a quella dell’amante, dallo screenshot di una mappa a quello dell’insegna di un concerto, insomma come tutte le nostre foto. Molte di queste immagini non sono state scattate per essere condivise, ma per essere utilizzate come dei promemoria o per essere inviate una ristretta cerchia di amici. Il lavoro è stato commissionato dal Fotomuseum Winterthur per questa mostra e diventerà parte della collezione permanente.

Avete restituito il telefono?

FM No, ma abbiamo firmato un contratto di non esclusività, per cui Hannah può continuare a usare le proprie foto, ci sembrava sbagliato sottrarre i suoi ricordi.

Eva & Franco Mattes, Personal Photographs, September 2009, installation view Team Gallery, Los Angeles, 2019. Photo: Jeff McLane © Eva & Franco Mattes

Dear Imaginary Audience, è allestita al Fotomuseum Winterthur, la più prestigiosa istituzione culturale svizzera dedicata alla fotografia. Qual è il vostro rapporto con questo media?

EM Ciò che più ci interessa della fotografia è la circolazione delle immagini, del perché siano diventate così importanti e onnipresenti. A queste tematiche è dedicato Personal Photographs, una passerella metallica porta cavi installata per tutto lo spazio espositivo che contiene nostre fotografie personali che, invisibili agli occhi dei visitatori, continuano incessantemente a circolare da un estremo all’altro del museo. Quello che vediamo è di fatto l’infrastruttura, ormai diventata così eterea da chiamarsi Cloud, la nuvola, dove vengono conservati tutti i nostri dati. Non la vediamo fisicamente ma è costantemente presente tra di noi. Con questa installazione abbiamo cercato di riportarla nello spazio fisico.

FM Le immagini che vengono stampate rappresentano ormai una percentuale infinitesimale. La stragrande maggioranza delle fotografie è in formato digitale, costituite da informazioni che circolano attraverso data center, che vengono duplicate, moltiplicate, analizzate e archiviate in immensi edifici senza finestre in mezzo al deserto dello Utah. Più che sul contenuto delle immagini e ciò che rappresentano, ci interessa ragionare su come nascono, come si diffondono e dove vanno a finire. Ad affascinarci sono le cosiddette meta informazioni.

Eva & Franco Mattes, Half Cat, installation view, 2020. Photo: Delfino Sisto Legnani © Eva & Franco Mattes

Con le sculture Ceiling Cat Half Cat avete scelto un gatto per simboleggiare l’Internet che vede, controlla e manipola tutto. Perché non un altro animale, come un cane ad esempio?

FM Le immagini dei gatti sono da sempre quelle più condivise in Internet. Non ci interessano tanto i gatti ma il fatto che circolino in modo completamente sproporzionato rispetto a qualunque altro soggetto, animali inclusi.

Ne conoscete la motivazione?

FM Ci sono tante teorie ma nessuna veramente convincente. È una specie di nuovo folclore. Un po’ come certi temi che vengono trasmessi da generazione a generazione, nelle favole per bambini piuttosto che nei racconti. Non penso ci sia una spiegazione razionale, sarà il nostro subconscio?

Eva & Franco Mattes, BEFNOED, installation view Carroll / Fletcher, London, 2016. Photo: Julian Abrams © Eva & Franco Mattes

Il vostro lavoro sottolinea l’idea che la nostra cultura sia basata sul plagio piuttosto che su nuove creazioni. Potete farci degli esempi?

FM In Internet questo è evidente. Abbiamo appena parlato dei memi, un’immagine che un fotografo, solitamente anonimo, ha postato, e che per qualche oscuro motivo viene ripresa da qualcun altro che magari gli aggiunge una scritta, che qualcun altro condivide, che qualcun altro ancora lo fotografa di nuovo e via dicendo. Si tende però a sottovalutare il fatto che il plagio non nasca col digitale o con Internet. Un classico esempio è rappresentato da due sculture: il David di Michelangelo, universalmente considerato uno dei picchi della cultura occidentale, che risale al 1500 e il Doriforo di Policleto della metà’ del V secolo a.C. Nonostante quasi due millenni di storia le separino, queste due sculture sono quasi identiche. Se in duemila anni un genio artistico non ha voluto creare qualcosa di originale, chi siamo noi per farlo?

Se il “plagio” diventa “arte”, quali sono le componenti etiche, morali o finanziarie che devono essere prese in considerazione?

EM Ricollegandoci al discorso precedente direi che se l’originalità è una forzatura, allora il plagio è la condizione naturale dell’essere umano. Quando nasciamo iniziamo a copiare il modo in cui parlano i nostri genitori, copiando i movimenti delle altre persone ci evolviamo e cresciamo. Copiare è quindi un modo per sviluppare le conoscenze e per apprendere.

FM Non esiste il genio isolato dal mondo e ispirato dalla musa. È un mito romantico che ha molte motivazioni per esistere, in particolare economiche. È molto più facile e conveniente apprezzare un singolo dipinto firmato da un individuo che è considerato geniale e unico, piuttosto che raccontare e commercializzare una storia che è frutto di infinite influenze più o meno autentiche e quindi difficilmente controllabili.

Eva & Franco Mattes, screenshot from Emily’s Video, 2012 © Eva & Franco Mattes

Mentre la pandemia costringe il mondo dell’arte a migrare online, quanta parte della nostra cultura in futuro sarà basata solo su Internet? 

EM Forse siamo le persone sbagliate a cui chiedere perché già 20 anni fa mettevamo tutto ciò che avevamo in rete. Nel 2000 realizzeremo un lavoro chiamato Life Sharing, un anagramma di “file sharing”, in cui per tre anni abbiamo condiviso con tutta la rete il contenuto del nostro computer privato. Visitando il nostro sito le persone potevano vedere in tempo reale a cosa stavamo lavorando, leggere le nostre e-mail, guardare le immagini, consultare il nostro estratto conto bancario…

Cosa sperate che il pubblico si porti a casa dopo aver visitato questa mostra?

EM Quando organizziamo una mostra ci piace che una parte dei lavori esposti siano disponibili anche in rete. In occasione di questa mostra al Fotomuseum, i video di The Bots ad esempio saranno in rete ancora prima dell’inaugurazione. Altri lavori avranno degli spin-off visibili sono online, per cui chi non potrà raggiungere Zurigo vedrà qualcosa in più rispetto a chi potrà venire qui. Per cui non c’è bisogno di “portarsi a casa” nulla perché parte dell’esposizione sarà già disponibile ancor prima che apra.

Eva & Franco Mattes, Personal Photographs, October 2006, Careof, Milan, 2019. Photo: Delfino Sisto Legnani and Melania Dalle Grave © Eva & Franco Mattes

Potete anticiparci i vostri futuri progetti attualmente allo studio?

FM Stiamo lavorando a un’installazione che verrà realizzata alla fine di marzo sulla facciata esterna del C/O di Berlino, per la mostra SEND ME AN IMAGE – From Postcards to Social Media. Per la prima volta, si potrà vedere l’infrastruttura di cavi ethernet in cui scorrono le nostre fotografie a ciclo continuo anche dalla strada.

EM Da tempo volevamo far uscire dallo spazio museale quest’opera, portandola all’esterno vogliamo sottolineare come le immagini personali vivano comunque in un luogo a metà strada tra pubblico e privato.

Quando il vostro lavoro sarà scoperto fra qualche secolo da un archeologo digitale, come vorreste essere descritti?

FM Come un qualcosa di indefinito di cui degli autori non è rimasta traccia. Praticamente vorremmo essere dimenticati. Se tutto va come deve solo il nostro lavoro sopravviverà. Come una leggenda o una storia di cui non si conosce l’autore ma che continua a sopravvivere, perché altre persone la riscrivono, la riadattano, la trasformano.

Negli Anni ’70 Andy Warhol profetizzava che nel futuro tutti avremmo avuto 15 minuti di celebrità. Quel futuro è qui, è adesso, dove però tutti performano ma nessuno veramente guarda…

FM Siamo tutti in qualche modo delle celebrità dilettanti. La mia speranza, diametralmente opposta a quella di Warhol, è quella di avere tutti in futuro 15 minuti di invisibilità.

Eva & Franco Mattes, screenshot from Susanne Sola, from the series Portraits, 2006 © Eva & Franco Mattes

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Eva & Franco Mattes:  WEB Instagram

Immagine di copertina: Eva & Franco Mattes, Ceiling Cat, installation view Carroll / Fletcher, London, 2016. Photo: Katherine Du Tiel © Eva & Franco Mattes Tutte le immagini: Courtesy Fotomuseum Winterthur Si ringrazia per la collaborazione: Julia Sumi, Doris Gassert e Christopher Hux

ZÜRI-swissness Instagram gallery: L’incertain regard 

Articolo pubblicato in anteprima alle pagine 54-59 del numero 1-2021 del magazine italiano KULT

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