Eclettico e inventivo. Sconfinato e in continuo mutamento. Sono le vocazioni del panorama della moda in Svizzera. Catturate ora da Wild Thing – Swiss Fashion Scene, la mostra allestita al Museum für Gestaltung Zürich, che offre uno sguardo aggiornato sulle più recenti tendenze e sui più disparati punti di vista. Ho incontrato Karin Gimmi e Christoph Hefti, i curatori di questa variopinta esposizione
La moda è un affare complesso. In contrasto col puro abbigliamento, deve sempre avere il sopravvento, rinnovarsi costantemente, sorprendere e sconcertare. Il sistema in cui opera la moda è governato da regole chiare, convenzioni ben stabilite e rigide gerarchie. Allo stesso tempo, sfida le strutture esistenti traendone il suo potenziale creativo. Anche il mondo della moda svizzera contemporanea si evolve fra questi diversi parametri. Ma qui non c’è nessun tappeto rosso, nessuna settimana della moda internazionale o show di settore. Quindi cosa hanno in mente gli stilisti, i fotografi di moda e i produttori? Come possono affermarsi sul mercato? Accanto ad alcuni grandi marchi rinomati, piccole etichette, collettivi e giovani laureati delle scuole di moda stanno testando il loro potenziale. Sviluppano il loro vocabolario, mostrano l’immaginazione e si fanno un nome a Berlino, fanno i giocolieri nel circo della moda parigino o creano sistemi di business intelligenti in Svizzera. Il loro ingresso sulla scena internazionale non è né escluso né garantito. Tutti loro contribuiscono a definire il paesaggio della moda elvetica. La mostra Wild Thing – La scena della moda svizzera, allestita al Museo del Design di Zurigo fino al 24 maggio 2021, fotografa l’istantanea di questo paesaggio indipendente, in costante cambiamento e talvolta fragile. Presentando più di 50 marchi rosso crociati, raggruppati in 11 distinte tematiche, i curatori Karin Gimmi e Christoph Hefti dimostrano quanto la moda possa essere intraprendente e creativa nel momento in cui si allontana dai sentieri battuti.

La moda svizzera non sembra essere percepita dal grande pubblico come un sistema coeso, qual è il motivo?
Karin Gimmi Probabilmente perché non è presente una vera industria della moda, ma piuttosto numerosi marchi differenti. L’obiettivo della mostra da noi curata è quello di presentare un panorama della grande varietà e della ricchezza insita nella creatività nel fashion design svizzero, così come nella sua produzione e marketing.
Christoph Hefti Questa mostra non è comunque una limitata collezione dei marchi di maggior successo che definiscono la “moda svizzera”, ma piuttosto una celebrazione della diversità di ciò che viene creato sul territorio elvetico. Si potrebbe affermare che, a causa dell’eterogeneità delle tendenze che lo caratterizzano, non esiste uno stile identificabile: preferiamo raggruppare tutte queste varietà e dare alla “moda svizzera” la cornice di un qualcosa di “selvaggio”.
L’HEAD di Ginevra o l’HGK FHNW di Basilea sono due esempi di scuole specializzate in cui s’insegnano i mestieri che ruotano attorno alla moda. Quanto sono riconosciuti e apprezzati istituti del genere?
CH Sono realtà molto importanti, conosciute sia in Svizzera che all’estero. I lavori esposti in questa mostra danno l’idea di quanto la moda attuale sia influenzata dai programmi di studio di queste scuole. Quella di Ginevra è guidata da un team molto impegnato nel formare nuovi stilisti, mentre quelle di Basilea e di Zurigo hanno sviluppato i loro peculiari “linguaggi” d’insegnamento. Molto è cambiato rispetto ai tempi in cui la maggior parte delle scuole dove s’insegnano le arti e i mestieri aveva un dipartimento di moda. Ora abbiamo istituti specializzati diventati punti di riferimento anche per studenti che arrivano dall’estero, un valore aggiunto alla diversità creativa.

photo and © Thomas Goldblum
Qual è il processo che permette a un giovane stilista svizzero di raggiungere il successo nazionale o internazionale?
KG Non esiste un percorso standard. Le scuole sono di solito il primo passo e in questa mostra presentiamo le tre più importanti, con sede a Ginevra, Basilea e Zurigo. Alcuni stilisti decidono poi di completare la loro formazione all’estero.
CH Per avere successo nel settore è necessario un continuo dialogo tra la realtà nazionale e quella internazionale. Un fashion designer deve mostrare flessibilità e non farsi intimidire da altri linguaggi e idee. Gli stilisti elvetici non hanno paura delle influenze che provengono dall’estero, ma non hanno nemmeno timore di rimanere a lavorare nel proprio paese. Quando ero giovane, tutti volevano lasciare la Svizzera perché qui non c’era nulla d’importante o rilevante. Ora questa convinzione è cambiata e i creativi possono tranquillamente disegnare moda rimanendo comodamente in montagna.
In che modo i marchi svizzeri possono riuscire a “seguire la propria strada nella moda” cercando di rimanere rilevanti nell’industria internazionale?
KG Non tutti i nostri designer svizzeri hanno successo a livello internazionale e credo che alcuni di loro non siano nemmeno interessati a perseguirlo. Alcuni hanno goduto di questo successo, altri non hanno mai cercato di raggiungere mercati al di fuori dei confini elvetici. Trovano nelle loro comunità locali, nei loro pari, nei loro diretti acquirenti, una soddisfazione professionale per loro sufficiente. Dimostrando che in Svizzera è possibile fare moda senza obbligatoriamente avere clienti internazionali.
CH Probabilmente si tratta di condurre una carriera più complicata, non disponendo di sbocchi all’estero, ma è sicuramente possibile. Inoltre, quando un artista inizia una carriera, non sa davvero dove questa può condurre. Se da un lato l’assenza di business internazionali può certamente rappresentare uno svantaggio, dall’altro permette di mantenere il controllo sull’intero processo creativo.

Quali sono le sfide affrontare dai giovani designer svizzeri e come possono superarle?
CH Innumerevoli. Iniziando da quelle dettate alla situazione pandemica che tutti gli operatori della filiera si troviamo ad affrontare. Le persone escono raramente e quindi la moda non è più considerata una priorità. Detto ciò ritengo che i giovani stilisti siano probabilmente meno colpiti dalla crisi rispetto ai marchi più diffusi e affermati.
KG Lo ha affermato anche una delle creative di Ottolinger con base a Berlino che, causa pandemia, è tornata nella sua casa svizzera, dove sperimenta nuove soluzioni artistiche che influenzeranno le collezioni future del suo brand.
CH Questo è un esempio di come la moda può reagire anche in situazioni drammatiche: continuerà sempre a evolversi. Nonostante questa crisi, le scuole fortunatamente continuano a fornire una piattaforma per i giovani designer, così che possano crescere, produrre e presentare nuovi lavori e collezioni.
La situazione pandemia ha indubbiamente stravolto il settore della moda. Come si ripercuoterà questa crisi sulla scena svizzera?
KG Ancora non lo sappiamo con certezza. Questa crisi ha permesso di essere più consapevoli su cosa è realmente importante, e personalmente continuo a credere che la moda sia essenziale. Mi auguro che i consumatori inizino a comprendere che acquistare continuamente qualcosa di nuovo non sia più così necessario, e che preferiscano avere nel proprio guardaroba un limitato numero di capi d’abbigliamento che abbiano però un valore significativo e duraturo.
CH Penso che il sistema moda sia imploso e dovrà cambiare radicalmente per adattarsi alla situazione attuale e futura. In Svizzera, volenti o nolenti, non c’era una vera e propria industria da far crollare, e quella parvenza d’apparato è sempre stata vista da alcuni studenti come negativa ed eccessivamente critica. Ritengo che dopo la pandemia possano verificarsi quelle condizioni che permetteranno ai giovani artisti di essere maggiormente notati e apprezzati per la loro visione creativa.

Come si è sviluppato il processo creativo dietro l’organizzazione di questa mostra?
KG Abbiamo iniziato semplicemente osservando ciò che era disponibile in Svizzera e visitando molti studi di designer. Ci siamo però ritrovati con fin troppi marchi da considerare, così abbiamo preferito individuare tematiche interessanti, suggerite fra l’altro dagli stessi stilisti, permettendoci di focalizzare meglio l’intera esposizione. Il racconto è sviluppato attraverso 11 argomenti d’attualità, fra cui l’upcycling, il gender role e lo street wear, col contributo di più 50 brand provenienti dall’intero territorio elvetico e tutt’ora attivi sul mercato.
Cosa vi augurate che il pubblico si porti con sé dopo aver visitato Wild Thing – Swiss Fashion Scene?
KG Che attraverso questa esposizione possano scoprire marchi di cui non conoscevano l’esistenza; un po’ come è successo a noi, quando abbiamo iniziato a creare questa mostra.
CH Spero che le persone abbiano una mentalità sufficientemente aperta per apprezzare la scoperta di un qualcosa di nuovo, ma anche che la visita dell’esposizione possa essere divertente e mentalmente rinfrescante. Non si tratta di limitarsi a dire “mi piace questo capo” o “indosserei quel pezzo”, ma piuttosto di immergersi nel mondo di una moda che esula dalla propria esperienza quotidiana e di potersi avvicinare ad artisti che contribuiscono in modo creativo a questo mondo.
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Immagine di copertina: Julian Zigerli, At the end of the world to the left, 2013, photo: Laurent Burst, © Julian Zigerli – Tutte le immagini: Courtesy Museum für Gestaltung Zürich – Si ringrazia per la collaborazione: Leona Veronesi e Christopher Hux
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