È considerata la coppia più scorretta dell’arte contemporanea. Le loro opere raccontano di morte e speranza, di vita e paura, di sesso e denaro, di razza e religione. Ho incontrato Gilbert & George alla Kunsthalle di Zurigo, dove hanno presentato “THE GREAT EXHIBITION, 1971-2016”. Un’ampia retrospettiva dedicata a mezzo secolo di sfacciate provocazioni. Temporaneamente sospesa causa pandemia, questo articolo, pubblicato in anteprima sul magazine italiano KULT, in cui i due artisti parlano anche di Brexit, di uomini barbuti e del divorzio di Harry e Meghan dalla famiglia reale inglese, tenta di riaprirla. Almeno idealmente
Incontrare Gilbert & George non è solamente un grande onore, è soprattutto uno straordinario viaggio nella storia dell’arte contemporanea. Più di cinquant’anni fa, due tipi garbati e dalle maniere impeccabili s’incontrarono alla St. Martins School of Art di Londra. Si fusero immediatamente in una coppia di artisti, dando così vita a una coesiva “Gesamtkunstwerk”. Per mezzo secolo hanno sfidato i canoni artistici affrontando, in nome dell’umanità, temi religiosi, culturali e provocatori. Infrangendo regole e tabù, è emersa un’arte ferocemente indipendente, conflittuale e stimolante. Dai teppisti agli hipster, dalla polizia agli stranieri, dai titoli dei giornali alla pubblicità, tutto è ritratto in modo gioioso e tragico ma allo stesso tempo coinvolgente e terrificante. Come sentinelle instancabili e impetuose, Gilbert & George continuano a scrivere una cronaca straordinaria di ciò che accade in questo nostro meraviglioso e pericoloso mondo. Un potente panorama visivo costituito da immagini surreali e simboliche con cui i due artisti hanno tappezzato le immense pareti della Kunsthalle Zürich che, con la galleria Luma Westbau, ospita THE GREAT EXHIBITION, 1971-2016, l’esposizione che celebra il loro sodalizio artistico. Qualche ora prima dell’inaugurazione ci hanno concesso un’intervista. Gilbert Proesch, di origine tirolese e dal bizzarro accento italo-tedesco, è il più puntiglioso dei due, mentre George Passmore, nato nel Devon e dal tono suadente, è il più burlesco. Parlano come fossero una sola persona, senza sovrapposizioni o divergenze. A dimostrazione di una straordinaria vita artistica in unisono.
Gilbert & George, DEAD HEAD, 1989 Courtesy Gilbert & George
Dopo 28 anni tornate a Zurigo con un’altra grande mostra. Cosa provate nel guardare esposte le vostre opere, create in quarant’anni d’attività?
Soprattutto un senso di orgoglio. Sì siamo orgogliosi di poter continuare, anno dopo anno, a esplorare il mondo che ci circonda in modo sempre più approfondito. Cerchiamo di affrontare un argomento sempre differente. Dalla cosmologia alla democrazia, dal capro espiatorio alla scatologia, e via discorrendo. Sono tutti soggetti emotivi con cui abbiamo a che fare quotidianamente. E i gruppi di opere a loro dedicati rappresentano l’evoluzione della nostra vita. Sono tematiche che sentiamo essere vive e che troviamo interessanti, come la sessualità, la politica o il comportamento. Riteniamo che molti creativi si concentrino nel rappresentare “ciò che il mondo vuole”, noi invece ci concentriamo più su “ciò di cui il mondo ha bisogno”. È un approccio artistico diverso.
Le vostre opere sembrano celebrare tutti gli aspetti della nostra umanità, con i loro colori intensi, le loro dimensioni generose e i temi provocatori. Come riuscite a mantenere l’entusiasmo e l’energia per continuare a essere così giocherelloni e gioiosi in quest’epoca di tumulti politici, cambiamenti climatici ed epidemie globali?
Innanzitutto potremmo tranquillamente affermare che il mondo ha raggiunto un livello di successo mai eguagliato prima e ciò ci rende particolarmente felici. Da parte nostra abbiamo sempre mantenuto vivo l’interesse verso il futuro, domandandoci continuamente come sarà il domani o il prossimo anno. È un po’ come quando da giovani si è attratti romanticamente o sessualmente da un’altra persona e l’intera esistenza diventa più edificante, il tempo sembra migliorare e il cibo assume un sapore più buono. Ecco, queste sono esattamente le sensazioni che continuiamo a provare nel scattare le nostre fotografie. Quando ci rechiamo nel nostro studio viviamo in uno stato mentale molto particolare e ciò è veramente eccitante. La creazione artistica è qualcosa di magico e noi abbiamo la fortuna di poterla ancora sperimentare. Non vogliamo mai guardare l’arte, vogliamo solo guardare la vita. Il nostro obiettivo è quello di aiutare le persone a capire cosa stiano sperimentando nella propria vita e con i nostri lavori vogliamo offrire loro un nuovo livello di comprensione, un’esistenza ancora più libera.
Gilbert & George, “THE GREAT EXHIBITION, 1971-2016”, una veduta della mostra
I vostri lavori e performance implicano una sorta di attivismo politico liberale, con il loro sfacciato contenuto gay e la rappresentazione di altri tabù sessuali. Qual è l’obiettivo che intendete raggiungere con queste immagini così provocatorie?
Prima di tutto non crediamo nella convenzione tra maschile e femminile: questa definizione è strettamente legata a dove e in quale secolo si vive. Non crediamo nemmeno nelle categorie gay o etero: tutti sono sessuali e tutto è suscettibile d’interpretazione. Noi siamo qui, insieme ad altri artisti, per aiutare le persone a trovare la propria strada, per evitare che possano essere discriminate, picchiate o messe in prigione. Uomo o donna, gay o etero… dimentichiamoci di tutte queste etichette, esistono solo gli esseri umani. Siamo convinti che la rivoluzione sessuale gay abbia cambiato il mondo perché ha sfidato il pensiero conservatore obbligandolo a cambiare idea su come dovrebbe essere la vita. Nel momento in cui una persona eterosessuale smette di discriminare, diventa automaticamente più felice.
Come pensate che la vostra arte possa rendere il mondo migliore?
Sicuramente vietando la religione, definitivamente. Ha contribuito a distruggere il nostro mondo per due millenni. Potremmo accettare la religione, solamente se la sua gerarchia chiedesse scusa, almeno una volta; ma non l’ha mai fatto. Gli adolescenti si suicidano a causa della religione. Dovremmo inoltre depenalizzare il sesso: i giovani giacciono sui pavimenti delle carceri di tutto il mondo per aver fatto sesso e noi ne siamo complici. Sappiamo ormai che Dio non esiste, ce l’ha insegnato Darwin, il nostro grande eroe. Vogliamo una società più liberale, aperta, che accetti di più, non di meno.
Gilbert & George, JESUS JACK, 2008 Courtesy Gilbert & George
Qual è allora la vostra “religione”, in cosa credete?
Crediamo nell’umanità, che si possa convivere l’uno con l’altro. E abbiamo fiducia nell’evoluzione dell’individuo all’interno della società. Pensiamo a 300 anni fa, quando le persone non potevano essere così uniche e individuali come lo sono ora; ma senza andare troppo in là col tempo, pensiamo a solo 50 anni fa. Quando i nostri giovani amici si lamentano del mondo contemporaneo noi li tacciamo come dei mocciosi viziati. Il mondo non ha mai goduto di un tale privilegio come lo conosciamo oggigiorno. Quando abbiamo iniziato a essere artisti, ci hanno detto che commettevamo peccati mortali ogni giorno! Siamo figli dalla seconda guerra mondiale, cresciuti con l’espressione “le cose miglioreranno”; e così è stato. Dovremmo essere molto grati per il successo che il mondo occidentale ha conseguito. Purtroppo è possibile apprezzarlo solo in Nord America, in Europa, in alcuni parti dell’Asia e in remoti avamposti dell’Oceania. Vi sono troppi altri luoghi del pianeta che non sono sicuri e liberi per i cittadini che ci vivono.
Questa è la vostra prima mostra dall’entrata in vigore della Brexit. Cosa ne pensate di questa scelta?
La Brexit originale risale a centinaia d’anni fa, quando ci staccammo dall’Impero romano, spianando la strada all’attuale Brexit, permettendo la nascita della rivoluzione industriale e la creazione dell’Impero britannico. Anche il Nord America si staccò a sua volta dalla Gran Bretagna, riscuotendo un notevole successo. Siamo convinti che l’Europa stia costruendo un muro attorno a sé stessa. Comunque, nelle interviste che rilasciamo, cerchiamo di evitare di parlare di questi argomenti, limitando il più possibile la tematica TRUMP TRUMP TRUMP, BREXIT BREXIT BREXIT!
Gilbert & George, BEARDSTERS , 2016 Courtesy of the Artists and White Cube
Vi siete spesso dichiarati “ardenti monarchici”. La partenza di Harry e Meghan ha in qualche modo modificato la vostra considerazione per la famiglia reale in generale?
Hanno perso tutto! E Harry, in particolare, ha perso il suo lavoro. Un principe deve essere un principe, non può essere qualcos’altro. Poteva vantare un sostegno enorme dalle forze armate britanniche. Ma crediamo che molto presto si verificherà un divorzio e Harry tornerà al suo lavoro. Noi amiamo il principe Carlo, perché sa parlare con gli alberi quando è chiamato a piantarli durante le visite ufficiali. Purtroppo è molto spiacevole per noi constatare che il modo dell’arte in generale sia così anti monarchico.
Prima del vostro più recente gruppo di immagini intitolato “The Beard Pictures”, i visi barbuti non sono mai apparsi nei vostri lavori. Come è nato l’approccio al concetto di barba che definite “simbolo di bigottismo religioso ma anche di bella mascolinità al di là dei nostri sogni sessuali romantici più sfrenati”?
È probabilmente cominciato quando un nostro giovane e barbuto amico musulmano originario del Bangladesh, avendo notato la massiccia presenza di hipster in città, ci ha confidato di essere finalmente a suo agio, di non sentirsi più additato come uno strano musulmano. È stato un momento fantastico. Un’altra circostanza per noi evolutiva è successa quattro o cinque anni fa, nel vedere tutti quei giovani visi barbuti provenire dalla Siria affacciarsi alle reti metalliche erette ai confini delle regioni balcaniche. È iniziata così una “battaglia” religiosa e non religiosa di barbe. È una piacevole sensazione constatare che la barba non è più monopolizzata da figure come Gesù e Babbo Natale.
Gilbert & George, FLOW, 1988 Courtesy Gilbert & George and Astrup Fearnley Collection, Oslo, Norway
Il vostro personale senso della moda sembra strettamente legato alla vostra arte, sia per quanto riguarda il colore che per la precisione. Partecipate entrambi alla creazione del vostro abbigliamento personale o vi affidate ad altri per creare il vostro outfit?
Non ci affidiamo mai a un fashion designer che ha sempre idee per te, noi non vogliamo queste idee. Preferiamo vestirci con abiti normali al limite della mediocrità. Non ci siamo mai recati da un particolare stilista. Il nostro primo sarto è stato un ebreo vicino di casa. Dopo di lui si sono susseguiti altri sarti ebrei, poiché abitavano tutti lungo la nostra stessa via. Ora sono tutti morti, i loro figli sono diventati neurochirurghi, e non abbiamo più sarti ebrei. Siamo grati ai nostri sarti perché i vestiti che ci hanno cucito addosso hanno aiutato le nostre mostre ad avere successo. Se fossimo stati degli artisti dagli abiti trasandati non credo saremmo arrivati fin qui. Ma lo stile non dovrebbe prendere il sopravvento, è sufficiente che rimanga perfetto per il resto del tempo. Non dovendo pensare al nostro abbigliamento che, più o meno, è sempre il medesimo, disponiamo di maggior tempo libero. Soprattutto rispetto ai nostri giovani amici del distretto finanziario, obbligati a seguire la moda e a cambiare i loro abiti ogni 18 mesi. Noi cambiamo solo le cravatte che ci vengono tutt’oggi regalate; è da 50 anni che non ne compriamo una!
Qual è il vostro segreto per continuare a lavorare insieme da così tanto tempo?
Si riassume in un motto: dobbiamo vincere! Pensiamo di avere un rapporto più paritario rispetto a quello delle tradizionali coppie. Ciò è facilitato dal fatto che non facciamo la spesa, non cuciniamo i nostri pasti e quindi non gettiamo avanzi nella pattumiera. Tutto profuma di pulito ed è semplicemente fantastico. Usciamo di casa alle 7, pranziamo alle 11 e ceniamo alle 19, poi si va a letto. Ogni giorno ripetiamo la stessa routine. E ai menù dei ristoranti preferiamo leggere romanzi e libri di storia.
Gilbert & George, ASTRO STAR, 2013 Courtesy Gilbert & George
La creazione della vostra omonima fondazione è fra i vostri progetti. Qual è il suo stato d’avanzamento e cosa immaginate di lasciare in eredità al termine della vostra lunga carriera artistica?
Quattro anni fa abbiamo acquistato una piccola ma bellissima proprietà con giardino a pochi passi da dove abitiamo. La nostra casa e l’annesso studio saranno parte integrante della Gilbert & George Foundation. Il prossimo passo sarà quello di ristrutturare l’edificio nel modo più bello possibile. L’obiettivo è di poter offrire uno spazio adeguato a chiunque verrà a Londra e avrà voglia di ammirare le nostre opere. Siamo eccitati da questa idea che darà la meritata visibilità anche ai nostri lavori più provocanti e che nessun museo ha mai voluto il coraggio di appendere alle proprie pareti. Alla fine avremo noi stessi la più vasta collezione di opere realizzate da Gilbert & George. Potremo poi vivere per sempre!
(Intervista realizzata il 21.02.2020 e pubblicata sul numero primaverile di KULT)
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Immagine di copertina: Gilbert & George, CITY DROP, 1991 Courtesy Gilbert & George
Tutte le immagini: Courtesy Kunsthalle Zürich e Luma Westbau
Si ringrazia per la collaborazione: Aoife Rosenmeyer (Kunsthalle Zürich), Christopher Hux
Dopo la sua chiusura (10.05.2020), la mostra si trasferirà al Reykjavík Art Museum – Hafnarhús (06.06.2020 – 20.09.2020)