Vestirsi a Zurigo. Quando il “local fashion” fa tendenza. Impareggiabile Ida!

Un solo negozio, un solo marchio, una sola squadra. Sono i fondamentali attorno ai quali ruota l’estro creativo di una delle più note stiliste svizzere. Fra i pionieri del vivace fashion design zurighese, Ida Gut realizza abiti per la donna che ama vestirsi con stile, senza rincorrere le tendenze dell’ultima moda. I suoi inconfondibili capi d’abbigliamento nascono da una combinazione di curiosità, emozione e disciplina. L’ho incontrata nel suo peculiare atelier, intenta a preparare la sua prossima partecipazione al Blickfang di Zurigo. La kermesse dedicata al design che, dal 22 al 24 novembre, la vedrà presentare, allo stand numero 55, le sue più recenti creazioni

Quando è nata la tua passione per la moda?

Sono convinta che fosse già presente sin dalla mia nascita per cui non posso associarla a un determinato momento. Penso d’aver ereditato questa passione dalle mie nonne, ambedue sarte, una creava indumenti intimi, l’altra vestiti. Poi, non appena sono stata in grado di maneggiare ago e filo, ho iniziato a cucire e a realizzare i primi modelli. Dopo la scuola, nel 1981 ho cominciato un apprendistato, ma sentivo che non era abbastanza. Perciò nel 1984 mi sono iscritta alla Gewerbeschule di Zurigo, frequentando i corsi professionali per diventare stilista.

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Tocco avanguardista, precisione architettonica e maestria artigianale sono gli ingredienti di un mix che contraddistingue le tue creazioni. Come definiresti il tuo stile?

Io non penso a uno stile particolare quando creo un vestito. Pertanto non è riconducibile a un periodo storico, a una tendenza o a qualcosa che è già stato realizzato. Parto essenzialmente dal corpo, dall’ambiente che lo circonda e dagli strumenti che dispongo, qui e ora. E se per strada un mio capo d’abbigliamento viene riconosciuto, allora ben venga la definizione di stile Ida Gut. Al momento non siamo riusciti a trovare un’altra parola che lo possa descrivere, ma il mix che hai utilizzato calza a pennello.

Nella creazione di una nuova collezione parti dai tessuti o dalla forma ?

Non ho mai un punto di partenza predefinito. A volte è la scoperta di un tessuto particolarmente interessante a darmi lo spunto per la confezione di un vestito. A volte invece sono precise esigenze funzionali che portano alla creazione di un determinato indumento. Ai disegni bidimensionali preferisco utilizzare i cartamodelli, che mi permettono d’ottenere una visione d’insieme più immediata di quello che sarà poi il risultato finale. Anche il processo lavorativo incide nella creazione di una collezione. Non dispongo di dipartimenti specializzati (cartamodelli, acquisizione stoffe, confezionamento, vendita, ecc.) localizzati chissà dove. Tutte queste specializzazioni convivono sotto il medesimo tetto e possono essere eseguite da tutti i miei collaboratori. Credo che il lavoro di squadra sia più importante di quello facilmente riconducibile al solo stilista famoso. Sono convinta che il futuro della moda dipenderà sempre più dall’affiatato team creativo dietro il prodotto.

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Da cosa trai ispirazione?

Il lavoro è identificato nel mio atelier, l’atmosfera ideale per trovare l’ispirazione. È in questo spazio che nascono le idee, che a loro volta ne portano altre, come in un effetto domino. Uscita da qui è come se premessi un interruttore: quando sono in vacanza non penso a creare vestiti, né tantomeno cerco un’ispirazione mentre cucino a casa o cammino in un bosco dell’Appenzello.

In effetti varcando il civico 112 di Ankerstrasse a Zurigo, si entra in uno spazio unico, quasi magico, che ospita laboratorio, negozio e show-room. Come è nato?

Dal 1996 l’atelier si sviluppava su due piani di un vecchio stabile in Brauerstrasse, vicino all’allora iconico spazio Perla Mode. Il mio immobile necessitava di una ristrutturazione, ma la soluzione proposta non era particolarmente funzionale alle mie esigenze lavorative, per cui ho venduto tutto e cercato qualcosa di nuovo. Attraverso un annuncio pubblicato su Tages Anzeiger ho trovato questo spazio adibito ad anonimi uffici. Gli architetti Martin Hsu e Adrian Fröhlich lo hanno completamente trasformato nel 2007 in quello che è oggi. Uno spazio non solo elegante e originale, ma la cui superficie, eccezionalmente vasta per i canoni zurighesi, permette al negozio, all’atelier e al magazzino di comunicare fra loro.

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Come mai le tue collezioni non seguono il calendario abituale del mondo della moda?

Ci sono marchi che sfornano due o quattro collezioni all’anno, quelli più grandi anche dodici, praticamente una ogni mese. Invece d’intere collezioni noi creiamo esclusivamente pezzi singoli, uno dopo l’altro. Se da un lato la nostra piccola realtà ci impedisce maggiore produttività, dall’altro ci permette di lavorare in maniera più rilassata. Ciò va a beneficio dello studio, della reattività e dell’attualità in risposta a esigenze e richieste che arrivano dall’esterno. Crediamo in quello che creiamo, non lo facciamo tanto per farlo.

Come descriveresti la donna che indossa le tue creazioni?

Non penso tanto al tipo di donna che indossa i miei vestiti ma all’utilizzo che ne vuole fare. Sono più interessata alla praticità dell’indumento che all’estrazione sociale o al luogo di provenienza della persona che lo indossa. La mia clientela è eterogenea, ciò che l’accomuna è la ricerca di un capo d’abbigliamento che le garantisca praticità e una certa dose d’individualità, senza per questo dover per forza ostentare.

Si trovano anche uomini nella tua clientela?

Sì ce ne sono alcuni. Sono uomini curiosi della novità, aperti alla sperimentazione, audaci nell’indossare un vestito che vada oltre la conformità. Prevalentemente sono pezzi nati per la donna ma che in fase di sviluppo integrano le esigenze del corpo maschile. Gli abiti concepiti direttamente per l’uomo sono ancora pochi, ma ne arriveranno altri in futuro. La base del processo lavorativo è comunque identica.

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Quanto sono importanti i social media nel tuo lavoro?

Sono cosciente dell’utilità dei social media. Il mio genere di prodotto necessita però una comunicazione che non può limitarsi al semplice scatto di una foto e alla sua pubblicazione. Richiede un impegno e una strategia di più alto livello concettuale, incentrata comunque sul marchio e non sulla mia persona. È un progetto in divenire, che richiede parecchio tempo.

Utilizzi l’e-commerce per raggiungere nuovi mercati?

Ritengo che lo shop online sia un valido canale di vendita per prodotti standard creati in serie. L’individualità che caratterizza i miei abiti poco si addice a essere venduta su Internet. Assieme al capo d’abbigliamento offriamo un servizio di consulenza personalizzato che sarebbe estremamente complicato e dispendioso trasferire in rete, a meno di non avere un mercato molto più vasto o proporre un prodotto più commerciale che, ovviamente, non è il nostro caso. Siamo fortunati ad avere una clientela che preferisce ancora raggiungere personalmente questo negozio, anche dall’estero. Giunti a Zurigo i turisti più illuminati in vena di shopping non si recano da Prada o da Zara, che possono trovare nella loro città di provenienza, ma cercano e vogliono conoscere un prodotto originale.

Come giudichi il sempre più diffuso trend denominato “local fashion”?

Come per i prodotti alimentari a Chilometro Zero, anche per la moda la gente vuole conoscere dove, come e da chi il vestito è stato ideato e confezionato. C’è bisogno di un contatto per sfuggire l’anonimato, di un punto di riferimento dove tornare quando il vestito necessita una modifica. E noi possiamo affermare di avere una notevole esperienza per soddisfare queste esigenze.

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A proposito di “local”, come pensi si vesta Zurigo?

Come Vivi Kola, la prima bevanda svizzera a base di cola creata nel 1937. Per cui un po’ indy, un po’ cool, un po’ mainstream. Sicuramente non esuberante, forse per via del retaggio calvinista che ancora scorre nel sangue degli zurighesi. Ovviamente ci sono, come dappertutto, spiccate eccezioni individualiste.

Dal 22 al 24 novembre ti troveremo allo stand 55 del Blickfang di Zurigo. Quanto sono importanti per il tuo lavoro piattaforme come questa o Mode Suisse?

Blickfang è un evento che, come il Designgut a Winterthur, il DesignSchenken a Lucerna, il TOKU a Berna o il Schauraum a Olten, dimostra quanto sia vivo l’interesse culturale del pubblico verso il design svizzero. Sono piattaforme essenziali che permettono non solo di dare visibilità alle mie creazioni, ma anche di avere un contatto diretto con potenziali acquirenti. Differente è l’approccio a Mode Suisse, importante evento a cadenza semestrale dedicato agli attori della filiera della moda e quindi indirizzato a un pubblico specializzato. Vi ho partecipato già tre volte e chissà che in futuro non vi possa ritornare. Ma per far fronte all’investimento che comporta la produzione di una sfilata memorabile che non sia semplicemente fine a sé stessa, è necessario associarla a un’idea sensata, legata a un progetto organizzato nei minimi particolari che, accompagnato da una campagna pubblicitaria, possa poi svilupparsi successivamente.

Che rapporto c’è fra la Svizzera e la moda?

A differenza di paesi come l’Italia o la Francia, la moda in Svizzera non è considerata un fattore rilevante per l’economia. Non ricevendo nemmeno sovvenzioni, di cui beneficia invece l’industria cinematografica, il settore fa fatica a svilupparsi. L’aiuto statale permetterebbe a questa industria non solo di crescere professionalmente ma anche di ottenere una maggiore visibilità a livello internazionale.

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Sei considerata una delle stiliste svizzere di maggior successo. Hai qualche suggerimento da dare ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di fashion-designer?

Essere modesti e ambizioni, cercando di gestire queste qualità nel medesimo modo senza, possibilmente, scendere a compromessi.

Hai creato il tuo brand nel 1993. A 26 anni di distanza quali sono stati i cambiamenti più significativi nel modo di percepire il tuo lavoro e più in generale l’universo della moda?

È l’intero mercato ad essere cambiato. Quando ho iniziato questo lavoro, era ancora possibile partecipare a fiere organizzate a Milano, Parigi, Dusseldorf e vendere le proprie creazioni ad acquirenti internazionali. Oggi il mercato è saturo ed è sempre più difficile trovare un negoziante che abbia spazio e disponibilità economiche da investire nei miei abiti. La maggior parte delle persone entra in un negozio, guarda, ma poi se ne esce senza aver acquistato nulla. Anche la metodologia di lavoro è cambiata: abbiamo imparato a lavorare in gruppo e introdotto in atelier il CAD. L’informatica ha permesso di velocizzare lo studio e la produzione dei nuovi modelli, riducendo al massimo il margine d’errore sul prodotto finale.

Nella moda come in altri campi creativi molte cose sono già state fatte, quanto spazio credi ci sia ancora oggi per sperimentazione e innovazione?

Non credo ci sia molto margine di manovra. Sono però studiando un sistema che, come quelli realizzati per produrre tailleur, gonne o kimoni, possa essere applicato alle mie creazioni e che soprattutto possa essere utilizzato anche da altre persone.

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Quali sono i fashion designer che stimi o segui?

Non ne ho qualcuno in particolare, ma sono particolarmente interessata alla creativa scena giapponese, una delle poche capace di fare ancora innovazione, sia a livello di ricerca di tessuti che di tecniche di produzione.

Qual è il capo d’abbigliamento che non può mancare nel tuo armadio?

Il pantalone, anche sotto la gonna se fossi obbligata a indossarla. Probabilmente deriva dal fatto di essere una donna dinamica e sempre in movimento. Molta bicicletta, molte camminate nei boschi…

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Migliorare e potenziare la nostra comunicazione, ma soprattutto assicurarci che anche in futuro possa continuare a esistere la possibilità di produrre i miei abiti in Svizzera.

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Ida Gut:   WEB   Facebook   Instagram

Tutte le immagini: Courtesy Ida Gut

Si ringrazia per la collaborazione: Gloria Orefice e Daniel Hess

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Vestirsi a Zurigo. Quando il local fashion fa tendenza” Le precedenti interviste: Eclettico Gerold!   Magica Fiona! 

 

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