Musei come spazi immersivi. Immagini e racconti numerici. Algoritmi incaricati di selezionare artisti. Al MuDA di Zurigo viene esposta l’avanguardia creativa digitale. Il dinamico due che lo dirige ci racconta un’avventura impavida e visionaria, culminante con l’attuale mostra dedicata a Vera Molnár, la “grande dame” della digital art
Caroline Hirt e Christian Etter non sono né storici dell’arte né necessariamente esperti nella conservazione del patrimonio. Lei, etnologa di formazione, lavora da circa dieci anni sul rapporto interattivo tra uomo e macchina. Lui, graphic designer, è proprietario di una piccola società di sviluppo di computer games estremamente originali. Insieme hanno deciso di colmare un vuoto culturale creando il primo museo europeo dedicato interamente all’arte digitale, dove le esposizioni sono curate da un algoritmo che individua le opere e gli artisti più interessanti su Internet, lavorando in base a prerequisiti neutri, evitando così che i pregiudizi legati a nazionalità, età o genere, possano influenzare la scelta finale. Ma il Museum of Digital Art è molto più di uno spazio espositivo: è soprattutto un luogo d’incontro dove si esplora l’arte dei numeri e le connessioni fra algoritmi, dati e società, permettendo ai visitatori di riflettere sull’impatto della tecnologia nella loro vita quotidiana. Oltre alle opere che utilizzano tecnologie digitali, vengono mostrate anche pratiche artistiche che rispecchiano i cambiamenti tecnologici. E a volte è l’analogico a esibirsi per parlare di digitale, come i dipinti algoritmici disegnati a mano e al computer da Vera Molnár, a cui è dedicata l’eccezionale esposizione che rimarrà aperta fino al 9 febbraio 2020. Volutamente casuale e parametricamente spiritosa, della musa di intere generazioni di artisti vengono presentate opere che vanno dagli anni Sessanta a oggi, alcune delle quali esposte per la prima volta in pubblico
Daily Sketches (2016 -2019), Zach Lieberman © Digital Arts Association
Cosa vi ha spinto a creare il primo museo europeo dedicato all’arte digitale?
Christian Etter Un mix di passione e frustrazione. La passione deriva dalla sorprendente varietà di cose che si possono creare con algoritmi e sistemi informatici, e dalla poesia, bellezza e persino magia che si ottengono quando le cose possono “comportarsi” in modi inaspettati o quasi incredibili. La frustrazione nasce invece dal fatto di vedere l’arte digitale presentata in eventi, performance, festival o simposi organizzati in tanti paesi e sapere che non c’è uno spazio permanente dedicato a questa questa forma d’arte.
Quali sono state le sfide che avete dovuto affrontare nella realizzazione di questo spazio?
CE Sicuramente quelle più banali, ma pur sempre complicate, come l’ottenimento di finanziamenti o dei permessi di costruzione all’interno di un edificio storicamente significativo. Ma la sfida più ardua è stata quella di spiegare cosa fosse l’arte digitale, ottenendo risposte tipo “è arte?” oppure “non è solo copiare, incollare, codificare e poi premere un pulsante?”. Sono i medesimi pregiudizi sollevati quando la fotografia si stava evolvendo: si può chiamare arte quando si mette una macchina fotografica davanti a qualcosa e si preme un pulsante? Ma lottando, insistendo e ripetendo fino all’infinito perché l’arte digitale è arte e perché merita uno spazio espositivo, siamo ora considerati dei pionieri in questo campo, riuscendo a stabilire regole su come l’arte digitale possa essere esposta in uno spazio museale dedicato.
Caroline Hirt Muda non è solo l’acronimo di Museum of Digital Art, ma è anche un vocabolo giapponese il cui significato si può riassumere in “attività umane inefficienti”, ovvero attività senza scopo economico e dispendiose; un po’ come l’arte digitale che ancora non ha acquisito un valore monetario paragonabile a quello prodotto dall’arte contemporanea. Piuttosto che per un ritorno economico gli artisti creano opere per il loro significato e che noi pensiamo valga la pena di celebrare. Concentrandoci sul contenuto di questi lavori e contrapponendoci alle tendenze in voga o alle convenzioni popolari, riusciamo a costruire un mondo d’arte digitale che avremmo sempre voluto vedere.
L’ingresso al MuDA di Zurigo © Digital Arts Association
Come siete riusciti a ottenere il piano terreno della sede storica della Migros, il più grande conglomerato aziendale svizzero?
CE La città di Zurigo ci ha messo in contatto con il proprietario dell’edificio, già in fase di trasformazione, che non aveva ancora idee concrete su cosa includere nei locali. Quando ci hanno mostrato lo spazio ce ne siamo innamorati, sapendo però di non potercelo permettere. Fortunatamente il loro consiglio di amministrazione ha apprezzato il nostro concetto e ci ha proposto un’offerta allettante. A fronte di un affitto relativamente basso ci siamo accollati tutti i costi di ristrutturazione che abbiamo avuto la fortuna di poter gestire personalmente, creando così lo spazio dei nostri desideri. Si tratta di un edificio davvero interessante: è qui che la Migros tanti anni fa immagazzinava e lasciava maturare le banane prima di commercializzarle sul territorio elvetico. Il che è in sintonia con la nostra missione di collezionare arte digitale da tutto il mondo, lasciandola qui maturare per poi ridistribuirla nel mondo.
CH Il fatto che questo edificio sia stato per molti anni il più alto grattacielo svizzero aggiunge ulteriore interesse. Unico per la sua epoca, ora è circondato da palazzi anche molto più alti, situati in un quartiere vibrante e in piena espansione. Noi interpretiamo questa evoluzione come un auspicio: forse l’arte digitale considerata ora unica diventerà onnipresente grazie anche ai nostri sforzi.
Lavorate con altre istituzioni culturali di Zurigo?
CE Collaboriamo con il Museum Haus Konstruktiv organizzando un campus dedicato ai bambini della durata di una settimana. Lavoriamo anche con il Teatro dell’Opera, il Politecnico (ETH) e con istituzioni artistiche locali. Abbiamo un rapporto speciale con l’Università delle Arti Applicate (ZHdK) che ospita in via permanente, all’ultimo piano del loro edificio a pochi passi dalla nostra sede, l’installazione fulcro della nostra prima mostra. Si tratta di Zürich HB Flap, realizzata recuperando il vecchio pannello elettromeccanico a doppio battente che scandiva le partenze dei treni dalla Stazione Centrale di Zurigo, riprogrammato a quattro mani per la nuova ubicazione da Andreas Gysin e Sidi Vanetti. È una bella simbiosi quella venutasi a creare con la scuola: l’istituto è frequentato da molti studenti interessati alle forme d’arte digitale e argomenti correlati e coi loro insegnanti l’intesa è perfetta.
Zürich HB Flap (2016), Andreas Gysin e Sidi Vanetti © Zürich Tourismus
Presentandosi al MuDA con la tessera stampa o col Passaporto Musei Svizzeri non si ha diritto all’ingresso gratuito, come mai?
CH Il nostro è un museo indipendente che non riceve sovvenzioni, contrariamente aalle grandi istituzioni museali. Il loro budget annuale permette non solo di pagare la costosa adesione a fondazioni come quella che hai citato, ma anche di rinunciare all’introito dei biglietti d’ingresso, che per i possessori di quel “passaporto” è gratuito. Per noi invece ogni biglietto conta e dobbiamo essere rigorosi: non paghi solo se hai meno di 16 e più di 60 anni. Per i giornalisti possiamo volentieri organizzare un tour guidato su appuntamento. Non offriamo un biglietto gratuito a chiunque, semplicemente non ce lo possiamo permettere.
CE Siamo però membri di Zürich Tourismus e con la tessera Zürich Card da 24 o 72 ore, i turisti hanno diritto a uno sconto sul biglietto d’ingresso.
Due agenzie digitali zurighesi figurano come partner del MuDA; possono in qualche modo limitare la vostra indipendenza artistica?
CE I tipi di Hinderling Volkart, società che realizza prodotti e campagne digitali, hanno creduto in questo progetto sin dal primo momento, quando ancora era un progetto su .pdf; si sono fidati di noi e hanno condiviso la nostra visione comprendendo la necessità di uno spazio dedicato all’arte digitale. Greenliff, che lavora all’intersezione di strategia, design e tecnologia, è subentrata dopo; anche il rapporto con questa agenzia è stato incredibile e si sviluppa tuttora attraverso continue collaborazioni. Entrambe condividono la nostra passione e il nostro impegno nel sostenere la tecnologia digitale come strumento creativo e legittimante.
CH Ci viene spesso chiesto quale influsso possano avere queste organizzazioni sulle attività museali, ma possiamo assicurare che sin dall’inizio si sono dette non interessate alle decisioni artistiche. Il loro sostegno è motivato dalla possibilità di creare opportunità educative e il MuDA è una di queste. Essendo una piccola e indipendente organizzazione artistica, abbiamo ovviamente bisogno del loro aiuto per sopravvivere. L’altra fonte di finanziamento rimane come già detto il biglietto d’ingresso al museo e alla partecipazione a eventi e corsi da noi organizzati. Tutti i bilanci, verificati da revisori esterni, sono pubblicati sul nostro sito Internet.
Appel d’Air (2012), Tobias Muthesius e Pierre Thirion – Lab212 © Digital Arts Association
Come si manifesta l’arte digitale nella vita quotidiana?
CE In molteplici forme tutte differenti fra loro. Può essere un GIF che all’improvviso s’inserisce in un feed dei tuoi social media. Oppure può apparire quando, di fronte a te, i segnali stradali di un incrocio inaspettatamente diventano tutti verdi. O ancora la disposizione naturale dei petali di un fiore. L’arte digitale non è l’arte degli schermi ma l’arte dei numeri. E se la si osserva con sufficiente attenzione, il suo aspetto magico può essere individuato ovunque e in qualsiasi momento.
Quali sono gli artisti digitali contemporanei da tenere d’occhio?
CH È una domanda a cui è difficile rispondere. È come chiedere a un genitore qual è il figlio che preferisce. In generale ci piacciono tutti gli artisti che amano sperimentare, che utilizzano la tecnologia digitale come espressione ludica, non per la novità intrinseca. Fra questi sicuramente possiamo segnalare il canadese Vincent Morisset, il newyorkese Zach Lieberman, il duo svizzero Andreas Gysin e Sidi Vanetti, il zurighese Pe Lang, il giapponese Kazumasa Teshigawara alias Qubibi…
Installazione di Pe Lang © Digital Arts Association
È affascinante sapere che gli artisti esposti al MuDA siano stati scelti da un algoritmo chiamato Hal 101. Chi vorreste vedere esposto se il vostro personale input fosse permesso?
CE In realtà pensiamo che Hal 101 stia facendo già un ottimo lavoro garantendo equità ed escludendo pregiudizi. Certo ci piacerebbe essere in grado di presentare artisti che Hal non riesce a individuare a causa della totale mancanza di dati pubblicati in rete relativi alle loro opere. Tenuto conto inoltre che Internet è dominato dalla lingua inglese, vorremmo tanto poter trovare artisti provenienti da culture non anglofone. Forse potremmo migliorare in futuro la sua programmazione aggiungendo parametri linguistici alle sue ricerche.
CH Gli esseri umani creano algoritmi e possono adattarli come e quando si reputi necessario. Hal ci avverte se un artista abbia creato qualcosa di nuovo, sta poi a noi valutare se ci sia materiale sufficiente per realizzare un’intera mostra. Hal ci rende comunque consapevoli di novità di non saremmo venuti a conoscenza da soli: collaborare con un algoritmo può essere un metodo di lavoro estremamente gratificante.
A Vera Molnár, la “grande dame” della digital art, avete dedicato la vostra decima esposizione. Come mai avete scelto questa signora dalla veneranda età di 95 anni?
CE Anche la scelta di Vera Molnár è imputabile a Hal 101. È considerata una dei pionieri delle arti informatiche e algoritmiche, avendo creato dipinti numerici prima ancora che i computer fossero in circolazione. Di origini ungheresi si è formata come artista tradizionale studiando storia dell’arte ed estetica presso il Budapest College of Fine Arts. Trasferitasi definitivamente a Parigi nel dopoguerra, ha iniziato a reiterare immagini combinatoriali fin dal 1959. Dieci anni dopo, i primi computer le hanno permesso di creare dipinti algoritmici basati su semplici forme geometriche. Stimolante e molto spiritosa l’abbiamo incontrata nella sua casa parigina quando mesi fa siamo andati a trovarla per proporle l’idea di questa mostra che, in collaborazione con la galleria d’arte La Ligne di Zurigo, ci ha permesso di esporre alcuni dei suoi pezzi mai presentati prima in pubblico. A 95 anni e 8 mesi, per essere precisi, Vera Molnár, ci ha confidato che ogni nuovo giorno rappresenta la celebrazione della vita, e per tutto il tempo che le resta da vivere continuerà a creare arte.
CH Col suo lavoro ha ispirato, continuando a farlo, molti artisti digitali e la sua produzione ha influito fortemente sul mondo dell’arte. Si è trovata sempre al posto giusto nel momento giusto, ovvero quando le novità accadevano, non ha mai smesso di esplorare nuove tecniche e metodi di espressione ed è sempre rimasta uno spirito libero. Vera Molnár è il modello perfetto per una mostra al MuDA: i suoi lavori offrono l’esperienza tangibile di un concetto digitale. È stata una delle prime artiste a impiegare un computer per la sua produzione artistica, creando e sviluppando i propri algoritmi ancor prima che i computer fossero così onnipresenti. Tutto ciò è davvero stimolante, poiché non è la tecnologia utilizzata in un’opera d’arte a essere importante, a contare piuttosto è il contenuto (le regole, i numeri, il gioco) espresso attraverso il lavoro artistico. Il suo rapporto con la macchina è mutevole: a volte lascia il computer lavorare per ore, a volte lo blocca perché soddisfatta di quel determinato output; si lascia sempre sorprendere dal risultato finale, decidendo solo in seguito il grado del suo successo. Penso che questo sia un modo molto bello di dimostrare il nostro rapporto con gli algoritmi: la collaborazione, il senso di giocosità, i risultati finali di un esperimento, come le cose possono evolvere e svilupparsi. Vera Molnár ama anche rivisitare i suoi progetti precedenti, rielaborare digitalmente alcuni dei suoi lavori eseguiti prima dell’avvento dei computer.
Vera Molnar nel suo studio mentre discute della mostra a lei dedicata con Caroline Hirt. Sullo sfondo Jack Meyer della galleria La Ligne di Zurigo © Digital Arts Association
Nelle mostre che presentate è possibile osservare se il pubblico sia più interessato alla tecnologia utilizzata nell’installazione o al contenuto espresso dall’opera?
CE Nella maggior parte delle opere che presentiamo l’aspetto tecnologico non è immediatamente evidente, le persone reagiscono emotivamente e sono attratte da ciò che stanno vivendo senza essere consapevoli della tecnologia utilizzata per creare quella particolare esperienza. Il “come funziona” rappresenta il passo successivo e crea meraviglia, curiosità, ispirazione, fino a scaturire in una discussione e a volte trasformandosi in un workshop.
CH Molti dei visitatori che entrano per la prima volta al MuDA si aspettano di vedere schermi di computer o d’indossare caschi per la realtà virtuale, rimanendo poi esterrefatti dalla varietà dei lavori artistici effettivamente presentati. Dedichiamo molto tempo ai nostri visitatori che, dopo essere stati attratti dalla tecnologia, spesso ritornano una seconda volta per approfondire il contenuto.
L’arte digitale è ormai entrata nei piani di studio delle scuole d’arte. Come pensi possa svilupparsi in futuro questa disciplina all’interno di istituzioni formative?
CE Le così dette scuole d’arte sono sempre degli ossimori, spero che queste istituzioni possano insegnare ai loro studenti il mestiere della tecnologia digitale perché è ciò che attualmente manca. Come programmare i codici o analizzare i dati, perché queste sono competenze richieste dal mercato.
CH Le scuole d’arte che conosco offrono un flusso didattivo che includono design interattivo, game design e fashion design. Prevedo che in futuro l’uso delle tecniche digitali e dei media, man mano che le persone impareranno a usarle come strumento, s’integrerà maggiormente nelle altre attività artistiche, invece di rimanere circoscritte a un settore specialistico.
I visitatori della mostra dedicata a Vera Molnár possono creare il proprio ‘Molnár’ inserendo numeri casuali in un plotter © Digital Arts Association
Offrite programmi educativi per ogni fascia d’età: “Kibit” (6-11 anni), “CreativeLabz” (12-16 anni), “Proto” (adulti) e “DeleteAll” (pensionati); che riscontro avete avuto?
CH Il programma educativo si è evoluto con il pubblico. Abbiamo iniziato con i bambini piccoli, che a loro volta hanno portato i fratelli più grandi e così via fino ad accogliere i loro genitori e insegnanti che ci hanno permesso di ampliare l’offerta educativa anche agli adulti. Ogni fascia di età è effettivamente coinvolta nello sviluppo del programma a loro dedicato attraverso la nostra interazione nei laboratori. Il nostro desiderio era di offrire un workshop dedicato anche ai pensionati. Ricordo un visitatore di 70 anni che sulla soglia del MuDA ci ha chiesto se fosse il caso che lui entrasse perché non era sicuro di poter comprendere ciò che avrebbe visto. In quel periodo era esposta l’installazione Starfield realizzata dal Lab212, un collettivo d’arte digitale fondato a Parigi. Entrambi abbiamo guardato l’altalena e gli ho chiesto se fosse in grado di utilizzarla, lui ha risposto affermativamente e a quel punto gli ho raccontato ciò che era importante conoscere per godersi quell’opera. Ha dondolato molto tempo sull’altalena ed è stato entusiasta di quell’esperienza, andandosene poi con un sorriso e un rapporto con l’arte digitale completamente inedito. È stato un momento fantastico per me. È naturale che anche i pensionati possano essere inclusi nelle nostre attività, non solo partecipano e imparano qualcosa, ma offrono anche suggerimenti che modellano la nostra offerta e contribuiscono alla formazione e allo sviluppo di queste tecnologie.
CE Questo è un punto fondamentale. L’arte da sola non può cambiare il mondo, nonostante possa essere uno stimolo e un’ispirazione. Per andare oltre il concetto di consumo passivo della tecnologia digitale serve l’educazione. Solo in questo modo lo strumento digitale potrà essere utilizzato dalla società per soddisfare le proprie esigenze, siano esse ludiche, come un gioco per computer, o vitali, come un’applicazione che rammenti l’assunzione di farmaci. L’educazione si rivela in questo caso responsabilizzante.
Sul sito Internet è possibile accedere alla “Collezione Virtuale” del MuDA. Come ha risposto il pubblico alla possibilità di ammirare le opere che esponete nel museo?
CH La “Collezione Virtuale” ha ottenuto un riscontro incredibile e i nostri visitatori online hanno espresso entusiasmo, passione e gratitudine per questo genere di offerta, che consente, a chi non può fisicamente venire a trovarci, di fruire le opere presentate durante le nostre mostre.
CE Abbiamo pensato anche d’integrarla con un negozio online, ma prima dobbiamo imparare il funzionamento dell’e-commerce, che riteniamo abbia il potenziale per diventare in futuro una parte importante delle nostre entrate, attualmente basate esclusivamente sul biglietto d’ingresso al museo e alle nostre altre attività.
Un visitatore s’impegna in una conversazione umoristica con le teste parlanti di Dialogus, realizzate da Kazumasa Teshigawara alias Qubibi, manipolando i pupazzi delle dita con sensori di movimento © Digital Arts Association
A proposito di online, quali piattaforme utilizzate per la pubblicizzare il vostro museo?
CH Affinché la presenza online sulle varie piattaforme, ognuna delle quali necessita di un linguaggio proprio, sia efficace deve essere costantemente aggiornata. Ciò richiede tempo e risorse che al momento non disponiamo; forse dovrei creare un algoritmo per gestire in futuro i nostri social media!
CE Un’attività che in parte viene realizzata “gratuitamente” da molti dei nostri visitatori che, condividendo sui rispettivi social media, le loro esperienze al MuDA, creano contenuti più pertinenti e autentici di quelli che al momento potremmo produrre noi stessi. Questi bellissimi post pubblicati su Instagram sono utili anche agli artisti per avere un immediato riscontro sull’impatto delle loro creazioni anche dopo il cerimoniale del vernissage.
Recentemente siete stati invitati al Meet the Media Guru, l’evento organizzato dal MEET, il centro internazionale per la Cultura Digitale di Milano; come è andata?
CH L’incontro è stato molto interessante. Sedersi a un tavolo assieme a persone impegnate e appassionate di arte digitale non capita tutti i giorni. È stato un privilegio discutere delle nostre sfide comuni, di come collaborare e di come realizzare iniziative per coinvolgere un pubblico più ampio.
CE Abbiamo discusso di come gli algoritmi possono avere così tanti impatti sulla nostra vita quotidiana, determinando i risultati elettorali, manipolando le persone, ridistribuendo la ricchezza. Abbiamo migliaia d’anni di esperienza con le guerre e con l’arte, ma nessuna con gli algoritmi e le loro conseguenze. MuDA, MEET e le altre organizzazioni sono in prima linea nel promuovere l’utilizzo della tecnologia per sostenere i valori fondamentali dell’umanità e risolvere le problematiche ambientali piuttosto che impiegarla solo per un mero guadagno economico o politico.
Dalla mostra “Kids” di Mario von Rickenbach e Michael Frei © Digital Arts Association
È ormai trascorso un triennio dalla nascita del MuDA, quali sono stati i momenti salienti e quali saranno i progetti futuri?
CH Il fatto che siamo ancora qui, dopo tre anni, è sicuramente il punto più rilevante, mi rende molto felice e mi sprona ad andare avanti. La quotidianità è ricca di momenti clou: osservare una particolare reazione di un visitatore di fronte a un opera digitale, il feedback che riceviamo costantemente dal nostro pubblico, registrare l’aumento della presenza femminile nei nostri workshop colmando il divario di genere in questo campo tecnico.
CE Oltre all’inaugurazione, pervasa da un sentimento di eccitazione ma anche di timore per cosa sarebbe successo il giorno dopo, i miei momenti indimenticabili sono legati all’installazione di ogni nuova mostra. È in quelle occasioni che trasformiamo lo spazio vuoto del nostro museo in qualcosa di completamente nuovo; vedere mesi di preparazione prendere forma e trascorrere del tempo con gli artisti è qualcosa di magico. Il MuDA è ormai un’istituzione consolidata e riconosciuta, continueremo perciò sulla strada che abbiamo iniziato a percorrere tre anni fa e potenzieremo il settore educativo continuando a collaborare con scuole di Zurigo.
CH Stiamo inoltre sviluppando una serie di conferenze su come la tecnologia digitale sia in grado di cambiare la società e di come quest’ultima possa esserne influenzata. A questo proposito abbiamo organizzato per il 29 ottobre l’evento Brexit Special: a due giorni dalla fatidica data in cui il Regno Unito dovrebbe lasciare definitivamente la Comunità Europea, interverrà la scrittrice e stratega digitale Ella Fitzsimmons che ci parlerà del rapporto tra algoritmi e politica britannica.
Vera Molnar sul pavimento del suo atelier, spiega le regole di un suo quadro © Galleria La Ligne
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Immagine d’apertura: Christian Etter e Caroline Hirt, i condirettori del MuDA © Zürich Tourismus Tutte le immagini: Courtesy MuDA
Il vernissage della mostra, fotografato dal sottoscritto, è pubblicato su L’incertain regard di Instagram.
Si ringrazia per la collaborazione: Christopher Hux