Il secondo silenzio

S’intitola “United by AIDS”. È la coraggiosa mostra che punta i riflettori sulla complessa e poliedrica interconnessione tra arte e HIV/AIDS, dagli anni Ottanta a oggi. Le opere esposte al Migros Museum di Zurigo, illustrano la varietà creativa della risposta artistica al virus e alla malattia. Focalizzandosi su temi come l’isolamento, la trasformazione, l’inesorabile scorrere del tempo e la mortalità. Affinché la relazione tra politica del corpo e la sua rappresentazione rimanga sempre vitale

Cominciamo con un ripasso, che non fa mai male. Secondo le statistiche redatte dall’UNAIDS, il programma delle Nazioni Unite per accelerare, intensificare e coordinare l’azione globale contro l’AIDS, almeno un milione di persone muore ogni anno a causa di malattie riconducibili alla sindrome da immunodeficienza acquisita, ovvero lo stadio finale di una menomazione del sistema immunitario causata dall’infezione da HIV, il virus dell’immunodeficienza umana. Attualmente nel mondo sono oltre 36 milioni le persone portatrici di questo virus identificato dai ricercatori nel maggio del 1983, e che diverse teorie scientifiche ritengono derivi da mutazioni di vari ceppi del SIV, il virus dell’immunodeficienza scimmiesca, con salto di specie avvenuto in un’epoca imprecisata, in alcune regioni dell’Africa occidentale sub-sahariana. L’introduzione a metà degli anni Novanta della HAART, la terapia antiretrovirale altamente attiva, ha trasformato l’infezione da HIV in una patologia cronica e trattabile. Ciò non significa che la malattia sia curabile. Pertanto proclamare la fine dell’HIV/AIDS, relegandolo a fenomeno del passato avente scarso significato sulla nostra quotidianità, sarebbe non solo prematuro ma anche irresponsabile.

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Hudinilson Jr., Zona de Tensão III – D, 1988, Collezione Migros Museum für Gegenwartskunst

Come sottolinea anche “United by AIDS – An Exhibition about Loss, Remembrance, Activism and Art in Response to HIV/AIDS”, la mostra curata da Dr. Raphael Gigax, che ha come obiettivo quello di rappresentare la funzione continuativa dell’arte come strategia attivista, serbatoio di ricordi, accusa e strumento di riflessione nel contesto dell’HIV/AIDS. Tuttavia, questo non deve distogliere l’enorme sforzo richiesto, soprattutto a livello politico, per impedire la diffusione del virus e per fornire a chi è stato contagiato farmaci di vitale importanza, indipendentemente dalla nazionalità, dal luogo di residenza o dal reddito. Le campagne educative comprendono un accesso ampio e paritario alla PrEP (profilassi pre-esposizione), che le persone sieropositive possono assumere per prevenire l’infezione, e alla PEP (profilassi post-esposizione), che può prevenire l’infezione dopo una situazione di rischio. In un momento in cui molte conquiste sociali come l’autodeterminazione sessuale, l’uguaglianza e i valori etici e morali, al di là dei principi determinati dal nazionalismo e dal razzismo, sembrano essere minacciati o in pericolo di essere invertiti dagli ambienti ultra conservatori, questa approfondita esposizione, in mostra fino all’11 novembre 2019, cerca di fornire informazioni e spunti di riflessione, ricordando al tempo stesso il trasformativo potenziale dell’arte. I parametri spaziali del Migros Museum per l’Arte Contemporanea di Zurigo sono stati presi in considerazione daDr. Raphael Gigax, curatore della mostra, nel disegnarne il percorso espositivo, suggerendo sin dall’inizio la divisione in quattro capitoli. Ognuna delle quattro sale incornicia una diversa prospettiva storica o tematica. Nelle tre gallerie al piano terra, la maggior parte delle opere risalgono agli anni Ottanta e Novanta, mentre il vasto spazio collocato al piano superiore, al contrario, è per lo più dedicato all’arte più recente che indaga le complesse questioni relative all’HIV/AIDS da punti di vista contemporanei. Questi i quattro capitoli, buona visione.

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Absalon, Cellule no. 2 (habitable), 1992–1993, © The Estate of Absalon, Courtesy Hauser & Wirth Collection, Svizzera – Felix Gonzalez-Torres, “Untitled” (Go-Go Dancing Platform), 1991, Kunstmuseum St. Gallen, Prestito permanente da proprietà privata – Jochen Klein, Ohne Titel, 1997, Courtesy dell’artista e Galerie Buchholz, Berlin / Cologne / New York – Jochen Klein, Ohne Titel, 1997, Collezione Daniel Buchholz & Christopher Müller, Köln                             (Vista espositiva fotografata da Lorenzo Pusterla)

Erasure, Void, Remembrance 

Il primo capitolo della mostra tratta della (in)visibilità, della stigmatizzazione sociale e dell’isolamento dei malati di HIV/AIDS negli anni ’80 e ’90, nonché del vuoto creato nella società dal rapido aumento del numero di vittime. Le posizioni artistiche qui raccolte affrontano l’impotenza di fronte a una malattia che, inizialmente etichettata come “malattia gay”, è stata tristemente ignorata dalla politica e dal pubblico. L’invisibilità politica che ha costretto le vittime all’isolamento (sociale) solleva domande coinvolgenti: quali persone e quali corpi sono considerati presentabili e in quali circostanze?

Artisti rappresentati: Absalon, Rafael França, General Idea, Felix Gonzalez-Torres, Keith Haring, Hudinilson Jr., Jochen Klein, and Stéphan Landry

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Judith Bernstein, Lord God Cock II, 1995-2019, Courtesy Studio Judith Bernstein

New York – The Aids crisis 

Il secondo capitolo dell’esposizione si concentra sulla New York della fine degli anni Ottanta e Novanta come luogo in cui gli effetti erano probabilmente più evidenti. Sebbene la storia della medicina individui vari epicentri attorno al mondo, la città è ricordata collettivamente come il punto focale della crisi, proprio come San Francisco. Naturalmente, anche le metropoli europee e il continente africano sono stati colpiti dalla pandemia di AIDS. Questo capitolo cerca di delineare un fenomeno oggi difficilmente comprensibile e solo in parte rappresentabile: l’erosione, o addirittura la cancellazione, del tessuto sociale delle singole comunità attraverso lo scoppio della crisi dell’AIDS. Questo sviluppo è rappresentato dai protagonisti della scena artistica e creativa newyorkese che, come membri di una fitta rete di amici, amanti e compagni, si sono uniti nella lotta contro la malattia.

Artisti rappresentati: Charles Atlas, Judith Bernstein, Nan Goldin, Peter Kunz Opfersei, Cookie Mueller & Vittorio Scarpati, David Wojnarowicz & Ben Neill, and Martin Wong

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Donald Moffett, He Kills Me, 1987, Courtesy dell’artista e Marianne Boesky Gallery,              New York e Aspen

Stand Up, Fight Back – AIDS, Activism and Art 

Il terzo capitolo è dedicato allo straordinario punto d’incontro tra strategie artistiche e strategie attiviste nel contesto dell’HIV/AIDS. In risposta all’incapacità dei politici di affrontare la pandemia e conseguentemente al loro silenzio, molti artisti assunsero una posizione politica, riunendosi in diverse costellazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica con progetti collettivi. I loro lavori miravano a svelare i torti, diffondere informazioni ed educare. Fondata negli Stati Uniti nel 1987, ACT UP, la “AIDS Coalition to Unleash Power”, è diventata una delle associazioni più potenti nella lotta contro l’AIDS. Sotto lo slogan “Stand Up, Fight Back”, l’efficace azione pubblica ha permesso di politicizzare la tematizzazione dell’AIDS, mentre l’istituzione del lavoro lobbistico ha rafforzato, anche se con grande ritardo, i diritti delle vittime. Sembra ovvio oggi che l’ignoranza dimostrata per molti anni dal governo americano portò a un’escalation della crisi.

Artisti rappresentati: Gregg Bordowitz, fierce pussy, Avram Finkelstein / “Silence = Death Project” Collective, Gran Fury, Group Material, Anna Halprin, Keith Haring, Zoe Leonard, Donald Moffett, and Rosa von Praunheim

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Real Madrid, It’s my party and I’ll die if I want to, 2019, Courtesy dell’artista, Co-produzione con Migros Museum für Gegenwartskunst – Wolfgang Tillmans, 17 Years’ Supply, 2014, Courtesy dell’artista e Galerie Buchholz, Berlin / Colo- gne / New York                                                 (Vista espositiva fotografata da Lorenzo Pusterla)

Recently 

L’ultimo capitolo è incentrato su posizioni artistiche dedicate all’approccio contemporaneo al virus e alla patologia. Come si parla di AIDS/HIV oggi? Quali sono i problemi, le prospettive e le sfide attuali nell’affrontare la malattia? Qual è la posizione sul passato? Negli ultimi anni, una serie di documentari e lungometraggi ha portato alla formulazione di una distintiva narrazione della crisi dell’AIDS composta in maniera di dramma classico, spesso storicizzando l’AIDS come una cosa del passato. Descrivendo l’introduzione della terapia antiretrovirale come un “deus ex machina”, questi racconti privano l’HIV/AIDS, descritta come malattia cronica anche se trattabile, della sua urgenza e dell’ancor necessartia attenzione pubblica. Il conseguente “secondo silenzio” e la concomitante mancanza di educazione hanno portato a un aumento dei pregiudizi nei confronti del virus HIV e di altre malattie sessualmente trasmissibili.

Artisti rappresentati: Lyle Ashton Harris, Marc Bauer, Nayland Blake, Andrea Bowers, Avram Finkelstein / “HIV Criminalization” Flash Collective, Avram Finkelstein / “Queer Crisis” Flash Collective, Carlos Motta, Real Madrid, Lili Reynaud-Dewar, Hunter Reynolds, Prem Sahib, Chéri Samba, Ellen Spiro & Cheryl Dunye, Edward Thomasson, Wolfgang Tillmans, and Sue Williamson

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Marc Bauer, AAAARGH!!! Do you see my rage!…A Recollection of Desire and Annihilation, 2019, Courtesy dell’artista e Galerie Peter Kilchmann                                                            (Vista espositiva fotografata da Lorenzo Pusterla)

Immagine di copertina: Keith Haring, Ignorance = Fear, Silence = Death, 1989, Courtesy Keith Haring Foundation, © Keith Haring Foundation

Tutte le immagini: Courtesy Migros Museum

Migros Museum: WEB   Facebook   Instagram   Vimeo   Twitter

Il vernissage della mostra, fotografato dal sottoscritto, è pubblicato su L’incertain regard di Instagram

 

 

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