Il lato B di Zurigo

E se i tedeschi avessero attaccato la Svizzera durante la Seconda Guerra Mondiale? A fronteggiarli in prima linea si sarebbe trovata Zurigo! Lo testimoniano le fortificazioni militari difensive che ancora oggi si mimetizzano nel suo tessuto urbano. Al Centro per l’Architettura ZAZ la mostra 111 Bunker aiuta a individuarle

“Rovine, un blocco enorme, una torta impastata di detriti… Lungo le rive del lago e del fiume nessuna facciata rimasta in piedi, niente più chiese o alberi… Solo una distesa di macerie, quasi un paesaggio lunare…” È così che il generale Henri Guisan s’immaginò Zurigo distrutta dalla guerra; una città in rovina “che tiene duro, che si difende, ma non si arrende”. Una visione tanto apocalittica quanto convincente. All’epoca, subito dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il comando dell’esercito svizzero ritenne che un attacco condotto della Wehrmacht tedesca sarebbe calato dal nord. Nei piani militari il fronte avrebbe strategicamente attraversato il centro città, percorrendo le rive del lago di Zurigo e del fiume Limmat. E così, nel 1939, iniziò la costruzione dei primi bunker sotto lo sguardo incuriosito e attonito dei visitatori dell’esposizione nazionale “Landi”, che per quella edizione, a pochi metri più in là, fuimperniata sull’esercito e sul desiderio di sottolineare l’indipendenza del Paese ponendo, in particolare, l’accento sul concetto di “Difesa spirituale”.

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B come bunker. Esistevano fin dai tempi della Prima Guerra Mondiale, sono stati migliorati nella seconda e tuttora sono simbolo di rifugio. Ma cosa sono esattamente? I bunker militari sono rifugi indistruttibili, completamente o in parte collocati sottoterra, progettati per proteggere gli abitanti da attacchi aerei e bombardamenti. L’incredibile abbondanza di queste strutture pressoché immortali sul territorio della città di Zurigo è stupefacente. Alcune si allineano, difficilmente visibili, lungo le rive del lago, per esempio all’Arboretum, dichiarato area militare nel 1940. Altre si trovano lungo il fiume Limmat, come l’impressionante bunker di fanteria nel pilastro del ponte del viadotto Letten. Nel sottosuolo tra Altstetten e Wollishofen ci sono postazioni per mitragliatrici, rifugi ferroviari, punti di accensione remota, su sentieri forestali a Uetikon, Albisrieden e Wiedikon, e nel sottobosco ci sono resti di cisterne e piccoli rifugi.

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Un lato nascosto della città portato ora alla luce dalla mostra 111 Bunker allestita presso il Zentrum Architektur Zürich (ZAZ) fino al 28 febbraio 2019. Nella villa Bellerive, trasformata per l’occasione in un ufficio turistico dedicato alle fortificazioni militari con annesso negozio di souvenir e l’offerta di un progemma di visite guidate, l’esposizione ne documenta la storia attraverso cartografie, fotografie, proiezioni e oggetti d’uso quotidiano della vita all’interno di un bunker. Non dimenticatevi di ritirare, al termine della visita, la mappa escursionistica per bunker appositamente progettata per aiutarvi a identificare queste oscure testimonianze contemporanee in cemento in completa autonomia quando la mostra chiuderà i battenti.

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Alla fine l’invasione della Svizzera non si concretizzò. Con l’occupazione tedesca della Francia, la posizione della Limmat divenne meno importante. Le Alpi si spostarono al centro della strategia di difesa militare e il generale Henri Guisan diffuse lo “Swiss Réduit”, un sistema di postazioni e di strategie di difesa per la salvaguardia dei confini svizzeri che consisteva in un determinato ordine di ripiegamenti delle truppe elvetiche all’interno della regione alpina in caso di invasione, spostando quindi gli eventuali combattimenti in zone montane. I bunker iniziarono a diventare un ricordo sfocato.

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Solo quello del Lindenhof tornò sulla cronaca dei giornali. Sede del primo centro giovanile autonomo zurighese, nella notte di San Silvestro 1970-71, i suoi occupanti dichiararono il centro territorio fuori dalla “società capitalista” e dalla Svizzera, fondando la Repubblica Autonoma del Bunker. L’obiettivo era una gestione collettiva, con assemblee plenarie in cui si sarebbero adottate decisioni sulle sorti dello Stato. Nel giro di quattro giorni, oltre duemila giovani si iscrissero al “controllo abitanti” e acquisirono il “passaporto”. Ma dopo una settimana il libero Stato era finito: il 6 gennaio 1971, la polizia circondò l’edificio e l’esperimento del Lindenhofbunker si concluse. Oggi ospita il Museo della polizia della città di Zurigo.

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Tutte le immagini: © Fausto Colombo 

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