25 di questi scatti!

La rapidità dell’informazione e la presenza ossessiva delle immagini pongono nuove sfide. Non solo alla fotografia, accettata come una vera e propria forma d’arte, ma anche alle istituzioni che la espongono. Come il Fotomuseum Winterthur, il più importante spazio fotografico svizzero a pochi minuti di treno da Zurigo, che festeggia questo fine settimana il suo 25° anniversario. Ho incontrato per l’occasione la direttrice Nadine Wietlisbach che spiega perché i musei fotografici sono e continueranno a essere un importante e irrinunciabile forum per la fotografia contemporanea.

Dall’inizio di quest’anno sei alla guida del Fotomuseum e il prossimo 3 novembre questa importantissima istituzione celebrerà ufficialmente il suo primi 25 anni. Che sensazioni stai provando sapendo di dover gestire un evento di tale portata? 

Innanzi tutto è stata un’occasione unica, per me e i miei collaboratori, per viaggiare a ritroso nel tempo, immergendoci nella storia di questo museo. Per sei mesi non abbiamo fatto altro che ricercare e il risultato di questo lavoro è racchiuso nella mostra che abbiamo appena inaugurato e nella pubblicazione che l’accompagna. Con 25 Jahre! Gemeinsam Geschichte(n) schreiben (25 anni! Condividere la storia, condividere le storie) intendiamo chiudere un capitolo della storia del Fotomuseum e aprirne uno nuovo. 

Cosa potranno ammirare i visitatori di questa mostra che rimarrà aperta fino al 10 febbraio 2019? 

Presentiamo lavori di 51 artisti della nostra collezione, selezionati da 25 amici e colleghi che hanno accompagnato il museo: curatori, artisti, ex dipendenti, membri del consiglio d’amministrazione, ecc. Ognuno di loro ha selezionato una foto o una serie completa e spiega la sua scelta e il suo personale legame con il Fotomuseum nella pubblicazione corrispondente. A queste si aggiungono altri 25 artisti che ho personalmente scelto e che, oltre ai miei eroi personali, includono anche le opere di una generazione più giovane di fotografi.. Il percorso espositivo rappresenta a tutti gli effetti una raccolta di ricordi emozionanti. 

25 Jahre

Installation view 25 Years! Shared Histories, Shared Stories, Fotomuseum Winterthur, 20.10.2018–10.02.2019 © Benedikt Redmann/Fotomuseum Winterthur

Raccontaci delle tue esperienze professionali e accademiche che hanno contribuito ad assumere il prestigioso incarico che ora ricopri. 

Ho studiato arte, management ed editoria. Lavoro nella creazione e nella gestione di mostre da circa 14 anni. Ho iniziato a curarle quando gestivo uno spazio espositivo indipendente. Da sempre ho avuto un interesse particolare per la fotografia, nonostante le mie prime mostre da curatrice abbracciavano anche pittura, scultura e video arte. È solo da quattro o cinque anni che la fotografia è diventata il mio principale interesse professionale. 

Considerando autori, tecniche e contenuti, quali sono le immagini che preferisci? 

È piuttosto complicato suddividere in categorie ciò che m’interessa. Sono più attratta dall’autenticità del processo creativo, visivo o artistico, dove traspare l’attenzionecon cui il fotografo si approccia al soggetto, in che modo lo studia e quali materiali e tecniche sceglie di utilizzare per raccontarlo. Per ragioni professionali seguo anche con attenzione la nuova generazione di artisti fotografi. Sono infine molto sensibile alle autrici donne. Nonostante il loro numero sia sempre stato numeroso è necessario percorrere ancora molta strada prima di poterle rappresentare adeguatamente nella nostra collezione. Questo è sicuramente uno degli obiettivi della futura programmazione del Fotomuseum.

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Tina Hage, Universal Pattern II, 2008 © Tina Hage

Che tipo di lavoro comporta l’allestimento di una nuova mostra al Fotomuseum? 

Attualmente stiamo lavorando a Colour Mania che verrà inaugurata nell’autunno 2019 ed è dedicata al colore nella fotografia e nel cinema. Si tratta di un progetto piuttosto complesso in cui è coinvolta anche l’Università di Zurigo. Ci stiamo confrontando su come strutturare il materiale già in nostro possesso, dopodiché svilupperemo l’esposizione e cercheremo idee per gli eventi e la pubblicazione correlate. È un processo molto dinamico dove molto spesso fasi differenti del progetto devono essere gestite in maniera simultanea. 

Le mostre esposte al Fotomuseum sono co-prodotte con altre istituzioni o create appositamente per gli spazi di Winterthur? 

Nell’arco di un anno cerchiamo di installare fino a quattro mostre, da noi stessi ideate e realizzate. Capita che altre istituzioni siano interessate a esporre nei loro spazi i nostri progetti, oppure siamo noi stessi a voler includere nel nostro museo lavori visti durante i nostri viaggi. A volte lavoriamo su progetti in collaborazione con artisti e altri musei e organizzazioni. Un esempio concreto sarà visibile a febbraio del prossimo anno quando inviteremo Anne Collier con la sua Photographic, inaugurata allo Sprengel Museum di Hannover lo scorso settembre. Il nostro DNA predilige principalmente ruoli d’iniziatore e di collaboratore.

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Max Pinckers, A Curious Phenomenon for Which I Know Not of a Valid Explanation, from the series The Fourth Wall, 2012 © 2012 Max Pinckers

Da qualche anno il Fotomuseum ha aperto i suoi spazi alle nuove tecnologie che stanno influenzando l’evoluzione della fotografia, come ad esempio il passaggio alle fotocamere digitali e la condivisione in tempo reale delle immagini sui social media. Ritiene che l’arte fotografica possa essere in qualche modo influenzata, modificata, sviluppata dalle nuove tecnologie a disposizione sia dei fotografi professionisti che di quelli amatoriali? 

Come museo della fotografia, non ci limitiamo solo a un contesto “consolidato” della fotografia d’arte contemporanea, siamo anche interessati all’impatto che le immagini hanno sulla nostra società e come influenzano la nostra percezione del mondo. Un classico esempio è il modo in cui la fotografia di attualità, stia influenzando il modo in cui percepiamo e trattiamo le questioni politiche, sociali e relazionali. Avendo noi tutti maturato una maggior comprensione della fotografia, sia dal punto di vista tecnico che di risultato d’immagine, stiamo accettando il fatto che tantissime persone possano essere fotografi. La nostra filosofia è quella di presentare al pubblico l’attuale utilizzo del media fotografico e di essere artefici e promotori di un dialogo su queste tematiche, piuttosto che sentirsene sopraffatti. Molti miei colleghi di altre istituzioni affermano che, a causa delle innumerevoli fotografie che vengono create, la sfida per trovare un modo per poter curare questa massa di immagini sia enorme. Concordo, ma al tempo stesso questo ampio spettro di immagini ci permette la libertà di scegliere esattamente ciò che ci interessa. In questo modo possiamo offrire al pubblico una vasta gamma di “punti di partenza” per comprendere ciò che sta accadendo nella fotografia. Non sono preoccupata dai cambiamenti che si susseguono nel campo della fotografia: li ritengo invece, sotto molti aspetti, positivi. A dimostrazione di questo, il Fotomuseum ha lanciato nel 2015 uno spazio espositivo sperimentale intitolato SITUATIONS, il cui scopo è proprio quello di confrontarsi con queste realtà e le trasformazioni contemporanee della fotografia.

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Joel Sternfeld, A Woman Out Shopping with Her Pet Rabbit, Santa Monica, California 1988, 1988 © Joel Sternfeld

Qual é la differenza che distingue il fotografo professionista, o un importante fotografo, dal fotografo amatoriale equipaggiato d’attrezzature costose? 

È come mettere a confronto qualcuno che sa cucinare e uno chef. Ammetto di essere una buona cuoca e nella mia cucina dispongo di un’ottima attrezzatura, ma mio padre è uno chef. Nel tempo ha coltivato le sue tecniche e le sue ricette, e ciò che riesce a comunicare attraverso la preparazione dei suoi piatti è molto differente da ciò che le mie capacità riescono a trasmettere. Immaginiamo ora di confrontare un fotografo amatoriale dotato di un apparecchio da 4000 euro e l’artista riconosciuto che scatta foto con il suo iPhone: disporre di attrezzature costose non garantisce di poter ottenere una storia avvincente da raccontare con le fotografie. 

Che consigli daresti a chi vorrebbe intraprendere una carriera nel campo fotografico? 

Mi piace questa domanda perché implica l’esistenza di differenti professioni legate alla fotografia. Si può essere un fotografo professionista oppure studiare le arti e lavorare con la fotografia. O ancora assicurarsi con una programmazione appropriata che le arti visive siano presentate nelle scuole. Chi vuole lavorare in questo campo deve essere molto appassionato ma anche molto vigile sulle immagini e l’impatto che hanno al giorno d’oggi. 

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Installation view 25 Years! Shared Histories, Shared Stories, Fotomuseum Winterthur, 20.10.2018–10.02.2019 © Benedikt Redmann/Fotomuseum Winterthur

Cosa fa, o cosa può fare, il Fotomuseum per sostenere e incoraggiare i giovani fotografi? 

Abbiamo creato Plat(t)form, un forum annuale organizzato l’ultimo fine settimana di gennaio. È un’importante occasione con una duplice funzione: permette a noi del Fotomuseum di osservare ’ ampia gamma di pratiche fotografiche, mentre ai giovani fotografi partecipanti dà la possibilità d’iniziare a stabilire una rete di contatti internazionali che potranno tornare utili in futuro. Rappresenta anche il momento ideale dove i dialoghi sulle opere da loro presentate s’intersecano alle opinioni dei nostri esperti. Invitiamo molti giovani artisti e fotografi a contribuire coi loro lavori a Plat(t)form; con un budget dedicato siamo in grado di coprire i costi di viaggio e alloggio dei partecipanti. 

Come può la fotografia digitale definirsi legittimamente “arte” quando, nonostante si disponga di un solo file digitale, questo può essere migliorato, moltiplicato e distribuito all’infinito? Se acquisto un quadro ho fra le mani un oggetto fisico originale e unico a cui è attribuito un determinato valore. Quali sono i criteri per attribuirlo anche a un file digitale? 

Penso che la nozione di “paternità” sia cambiata drasticamente negli ultimi anni, mettendo in discussione questa idea di “originale”. Il mercato dell’arte ha indubbiamente allargato questo concetto, applicandolo anche all’unicità intrinseca di uno scatto fotografico. Come professionista del settore, l’idea di originalità in un media riproducibile mi lascia perplessa: perché è così importante l’idea che una fotografia sia “originale”? Importante lo è per il mercato, regolato da dinamiche finanziarie che si ripercuotono anche nel nostro lavoro qui al Fotomuseum. Ma siamo anche consapevoli che questo modello dovrà prima o poi cambiare. C’è l’appassionato interessato all’immagine raffigurata e c’è il collezionista che alla stessa fotografia antepone il criterio di opera “originale”. Il mercato ha saputo monetizzare questa distinzione. 

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Dayanita Singh, I get this strong urge to dance from within. Ayesha`s second birthday. 1991, from the series Myself Mona Ahmed, 1991 © Dayanita Singh

Il nostro quotidiano è costantemente bombardato da immagini, sovraccaricato a sua volta da un flusso visivo creato addirittura da noi stessi attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici alla portata di tutti. In un mondo saturo d’immagini, è ancora importante il ruolo dei musei fotografici? 

Lo è proprio a causa di questa saturazione. Viviamo quasi in simbiosi con le immagini senza però comprenderne appieno il significato. Sono pertanto convinta che le istituzioni fotografiche, come il Fotomuseum, possano fornire uno strumento che aiuti a “vedere meglio” ciò che ci circonda. Potendo scegliere possiamo quindi selezionare e, conseguentemente, creare spazi dedicati a specifiche tematiche. Va detto inoltre che gli ultimi anni sono stati testimoni di un ricambio generazionale, sia nell’arte che nelle istituzioni che la presentano e la promuovono. Ciò ha permesso di porre più domande, di avere dubbi su lavori di fotografi ritenuti sacri e che non potevano sbagliare, di scoprire molti nuovi autori e di rivalutare tutti quei fotografi finora trascurati dall’establishment. Tutto ciò fino a qualche anno fa era impensabile. 

Passando dalle 32’100 alle 26’330 presenze, tra il 2016 e il 2017 si è registrato un calo dei visitatori al Fotomuseum. Cosa ha causato secondo te questa disaffezione e come pensi di poter invertire questa tendenza? 

Le cause possono essere molteplici. Ma è il periodo in cui viviamo a essere unico. Mai come ora le persone possono scegliere fra un’infinità di proposte per trascorrere il proprio, sempre più limitato, tempo libero. Questa è la concorrenza che affrontano oggigiorno moltissimi musei. Anche noi stiamo cercando di aumentare il numero dei visitatori, ma questo non è l’unico fattore che ha un’influenza sulla nostra programmazione. Sono invece quelli online a crescere, a dimostrazione di quanto sia importante lo spazio digitale per un museo come il nostro; numeri che ci spronano a investire sempre più energie nel migliorare ulteriormente l’opportunità rappresentata dallo spazio digitale e dal museo online. Stiamo per lanciare anche molti nuovi workshop, soprattutto dedicati a giovani e bambini, riscontrando già entusiasmo dall’annuncio di questi piani. Il nostro obiettivo di diventare un centro di alfabetizzazione mediatica e visiva vuole portare un pubblico nuovo e più giovane che si affianchi a quello attuale e a visitare il museo più volte nel corso dell’anno. 

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Max Pinckers, She Will Use the Birds, from the series The Fourth Wall, 2012 © 2012 Max Pinckers

In qualità di direttore di un museo, trovi discutibile che il pubblico faccia fotografie alle opere esposte? Cosa determina la decisione se le foto sono permesse o meno in un museo? 

I visitatori che pubblicano le loro fotografie su Instagram usando il nostro hashtag sono più che benvenuti, indirettamente ci aiutano ad attirare nuovo pubblico. In ogni caso non c’è un modo per impedire alle persone di scattare fotografie. A volte usare il flash potrebbe danneggiare l’opera artistica, ma i casi sono veramente limitati. Ci insospettiaremmo alla presenza di un’attrezzatura fotografica dove palese è lo scopo della riproduzione in alta qualità, a quel punto inizieremmo a fare domande. 

Come vedi i prossimi 25 anni del Fotomuseum? 

Tradizionalmente all’arrivo di un nuovo direttore si apre anche un nuovo capitolo per un museo. Quello diretto dal fondatore Urs Stahel è durato più di 20 anni. Ha fatto poi seguito il quadriennio gestito a 4 mani da Duncan Forbes e Thomas Seelig che hanno introdotto i media digitali. Ovviamente non stiamo chiudendo quest’ultimo ciclo, ma piuttosto ne perfezioniamo le idee che l’hanno caratterizzato. Per la prima volta nella storia del museo introdurremo la figura dell’amministratore delegato, necessaria per gestire la complessa struttura del Fotomuseum, passato dagli 8 collaboratori iniziali ai 40 attuali, e per farla evolvere affinché sia in grado di affrontare le sfide future in modo ancora più efficiente. Chiudere un capitolo lungo 25 anni è un momento del tutto naturale per celebrare ciò che è stato realizzato e riconoscere ciò che è stato carente affinché si possano fare aggiustamenti per il futuro. Spero di mantenere intatta la struttura del team, di allargare il pubblico e di realizzare i progetti per modificare e ampliare la struttura dell’attuale edificio.

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Installation view 25 Years! Shared Histories, Shared Stories, Fotomuseum Winterthur, 20.10.2018–10.02.2019 © Benedikt Redmann/Fotomuseum Winterthur

Per il programma dei festeggiamenti dedicati al 25° anniversario del Fotomuseum Winterthur in programma sabato 3 e domenica 4 novembre 2018 clicca qui

Immagine di copertina: Nadine Wietlisbach fotografata da Flurina Rothenberger

Tutte le immagini: Courtesy Fotomuseum Winterthur

Si ringrazia per la collaborazione: Christopher Hux e Marilena Baiatu

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