Droni per le consegne, stampanti 3D, sensori per la sicurezza, elettrodomestici intelligenti… Il nostro quotidiano è sempre più permeato dalla robotica. Un bene o un male? La mostra Ciao, Robot. Design tra uomo e macchina, allestita al Gewerbemuseum di Winterthur, riflette sul ruolo dell’intelligenza artificiale. Strizzando l’occhio ai designer incaricati di dare un volto ai robot di domani
Era il 1978 quando la canzone dei Kraftwerk divenne un successo planetario, esaltando le, di allora, recenti scoperte della robotica e di come gli umani potessero trarne beneficio. Sono passate 4 decadi, un’eternità dal punto di vista tecnologico. Solo nell’ultimo decennio la digitalizzazione ha causato una radicale ridefinizione della robotica. Oggi i robot non si limitano a costruire automobili e lavatrici o a trasportarci su treni metropolitani senza conducente, ma si presentano in una serie di altre forme: dai droni per le consegne alle stampanti 3D, dai robot infermieristici agli algoritmi di auto apprendimento. Anche il nostro vocabolario è cambiato e si parla sempre più spesso di realtà aumentata, di Internet delle cose, di nanotecnologie, di industria 4.0, di domotica, di smart city… In questo ambito il design riveste un ruolo decisivo poiché sono proprio i designer a creare le interfacce uomo-macchina, ovvero a disegnare il volto che avranno i robot del futuro prossimo.
© Fausto Colombo
Tematica d’attualità che il Gewerbemuseum di Winterthur, a una ventina di minuti di treno da Zurigo, affronta con la mostra Hello, Robot. Design zwischen Mensch und Maschine. Perché il robot è prima di tutto un’immagine, una forma e, a ben guardare, è il frutto di un disegno. E perché il design “è il modo attraverso il quale ci relazioniamo all’altro, creando la connessione tra l’uomo e la macchina, tra il soggetto e l’oggetto” come racconta Amelie Klein, curatrice dell’esposizione. Se un tempo la robotica era dominio di ingegneri ed esperti informatici o di pertinenza della fantascienza, oggi sono invece i designer a influenzare in modo sempre più determinante il suo attuale boom, decidendo come e dove incontriamo i robot, quali relazioni creiamo e come interagiamo con loro o loro con noi. Dando forma al nostro modo di vivere, la robotica richiama l’attenzione anche su questioni etiche, sociali e politiche a essa connesse.
© Gewerbemuseum Winterthur. Foto: Michael Lio
Hai mai incontrato un robot?
È la prima delle 14 domande che accolgono il visitatore e che tendono ad aprire un ampio dibattito sul controverso rapporto con la robotica e a far riflettere sul modo in cui ci rapportiamo alle nuove tecnologie, considerando le possibilità ma anche i rischi connessi. Le domande sono il filo conduttore di tutta la mostra, scandendo l’allestimento come tante tappe suddivise in 4 sezioni. La prima si concentra sul fascino esercitato dall’intelligenza artificiale nell’epoca moderna e sul rapporto tra cultura popolare e la nostra percezione dei robot. La seconda è dedicata all’industria e al mondo del lavoro, contesti determinanti al successo della robotica, la cui inarrestabile applicazione, ancora oggi, continua a essere vista come una minaccia per i lavoratori dipendenti. La terza parte dell’esposizione propone diversi esempi a testimonianza di come la tecnologia faccia sempre più parte della nostra vita quotidiana, non solo nei lavori domestici ma anche nell’assistenza ai malati e agli anziani. La quarta e conclusiva sezione esamina infine il confine sempre più indefinito tra umani e robot, esemplificato dal nostro vivere edifici e città intelligenti, o attraverso micro-sensori che possono essere impiantati nel nostro corpo.
© Francis Bitonti. Foto: Museum of Fine Arts, Boston, 2017
Fino al 4 novembre il percorso espositivo rappresenterà la più vasta indagine sulla robotica fatta da un punto di vista del design, raccontando per la prima volta l’evoluzione di questa disciplina attraverso una selezione di oltre 200 oggetti di design fra cui cimeli di cultura pop, opere d’arte, robot per usi domestici, infermieristici e industriali, droni per le consegne, sensori intelligenti, videogiochi, installazioni multimediali, prototipi cinematografici e letterari. I contributi sono innumerevoli: Woody Allen, Jacques Tati, Björk, Daft Punk, Disney/Pixar Animation Studios, Höweler + Yoon Architecture, Carlo Ratti, Stanley Kubrick, George Lucas, Spike Jonze, Kraftwerk, solo per citarne alcuni. Accompagna la mostra il libro Hello, Robot, il cui layout è stato creato da un algoritmo generato in collaborazione con l’agenzia grafica Double standards di Berlino. “È stato sorprendente” racconta Amelie Klein, “ha lavorato in un modo che nessun umano avrebbe fatto, proponendo un’estetica inusuale, diversa dai principi che noi tutti conosciamo. Ci ha mostrato qualcosa al di fuori del nostro controllo. Un aspetto interessante, soprattutto nei processi creativi». Non resta che porre alla curatrice uno dei quesiti che scandiscono l’allestimento: potrebbe un robot fare il suo lavoro? “Sì, il risultato sarebbe sicuramente sorprendente. L’intelligenza artificiale dà nuove prospettive, magari però non sempre riesce a selezionare una serie di oggetti che abbiano senso insieme. Quindi penso che sarebbe meglio se un essere umano avesse l’ultima parola”. Più rassicurante è l’ultima parola che 40 anni fa i lungimiranti Kraftwerk misero in bocca ai loro robot: “Я твой слуга” (Ya tvoi sluva, Sono il tuo servo), “Я твой работник” (Ya tvoi rabotnik, Sono il tuo operaio). Come non essere d’accordo?
© robotlab, Foto: Michael Lio
Immagine di copertina: © Shawn Maximo
Tutte le immagini Courtesy Gewerbemuseum Winterthur (ad esclusione di © Fausto Colombo)