Il tocco magico

La natura si è dimenticata di dargli una mano. Lui si è preso la rivincita, trasformando il suo handicap in uno stile di vita iconico. Dotato di una protesi super tecnologica, Michel Fornasier è diventato l’ambasciatore della sinergia tra robotica e medicina e il simbolo di un approccio alla disabilità fuori dagli schemi. Grazie anche al suo alias, il super eroe Bionic Man che spopola fra i bambini svizzeri. E a una fotografia giocosa e commovente che ha fatto il giro di Internet

Come è nata questa immagine?

Volevo che lo slogan “Affinché le protesi per bambini nei paesi in via di sviluppo non rimangano un desiderio nel cassetto”, concepito per una campagna di raccolta fondi, fosse veicolato da un layout innovativo. Volevo allontanarmi dalle immagini vecchio stile che solitamente accompagnano il tema degli arti artificiali, soprattutto quelli destinati ai bambini. Può sembrare raccapricciante, ma il risultato finale nasce dal ricordo di una sequenza tratta da un film dell’orrore, dove si vede il braccio di uno zombie staccarsi dal corpo e venire trascinato in aria da un palloncino. Al progetto ha partecipato Sven Germann, amico e fotografo professionista; insieme siamo riusciti ad adattare un’idea stravagante a una giusta causa.

Hai dovuto affrontare sfide fisiche e mentali inimmaginabili per coloro che non sono portatori di handicap. Eppure sei capace d’irradiare quel senso di fiducia in se stessi con cui hai abbracciato la straordinaria normalità della tua vita. Come ci sei riuscito?

Non è sempre stato così, soprattutto nei primi 35 anni della mia vita. Ora di anni ne ho 40, ma è solamente negli ultimi cinque che ho smesso di nascondere la mia disabilità. Tutto è iniziato grazie alla partecipazione a un seguitissimo talk show svizzero dove sono stato invitato per via della mia mano artificiale all’avanguardia. In quell’occasione sono uscito allo scoperto mostrando in pubblico la mia mano bionica. Mi sono reso conto che non c’è nulla di cui vergognarsi nell’essere senza una mano. Da quel preciso istante la mia quotidianità ne ha giovato enormemente.

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Quando hai preso coscienza di essere differente dagli altri?

Direi all’età di 5 anni frequentando altri bambini che, senza troppi giri di parole, mi domandavano perché avessi una mano sola. Non avevo una risposta da dare, ma ho sempre ottenuto il loro rispetto. So quanto i ragazzini possano essere impietosi se il tuo taglio di capelli o le scarpe sportive che indossi non corrispondo al trend del momento. Fortunatamente non mi sono mai sentito un outsider. Dell’assenza di un “qualcosa” ho iniziato ad accorgermi da piccolo, quando giocavo coi Lego. Non è come perdere un arto in un incidente stradale da adulti e il ricordo dell’utilizzo di quella parte di corpo rimane indelebile. Sin dall’inizio ho dovuto affrontare situazioni completamente nuove che hanno però aiutato ad accrescere la mia creatività cercando e trovando soluzioni alternative. Il giorno in cui riuscii per la prima volta ad allacciare le stringhe delle scarpe da tennis fu un momento metafisico che non scorderò mai.

In che modo la tua famiglia ha affrontato la tua disabilità consentendoti di diventare quello che sei oggi?

Ho avuto il privilegio di crescere in un ambiente dove mamma e papà mi hanno sempre trattato alla stregua di mio fratello, che di mani ne ha due. Per cui non ho mai ricevuto trattamenti di favore per via del mio handicap. So quanto sia difficile per dei genitori affrontare questa situazione ed essere continuamente sottoposti allo stress della curiosità degli altri. Spesso capita che dei genitori nelle medesime situazioni mi contattano per confidarmi i loro timori e per chiedermi se i loro figli potranno mai essere indipendenti. Quando si rendono conto di come abbia incluso la mia disabilità nella vita di tutti i giorni vedo brillare una luce di speranza nei loro occhi e ciò per me non ha prezzo.

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Trovi che la naturalezza con cui gestisci il tuo handicap possa mettere gli altri in imbarazzo?

Questo è il mio modo di essere e di relazionarmi con gli altri. Non mi chiedo se sia giusto o sbagliato. È nel mio carattere essere così. E il riscontro è positivo al 99%. Rispetto ovviamente la scelta di altre persone con arti amputati di non mostrarsi in pubblico o di non utilizzare protesi. Sono decisioni puramente individuali.

Quando incontri qualcuno offri la tua mano bionica per salutare?

Preferisco dare la mia mano naturale per sentire la sensazione di contatto, perché quando porgo la mia mano artificiale ovviamente non provo nulla. Sono più che altro le persone che incontro, incuriosite, a volerla stringere.

Ci sono azioni che non puoi compiere a causa della mancanza della mano destra e altre che invece sono facilitate dalla protesi?

Quando scrivo alla tastiera del computer sono ovviamente più lento di chi è in grado di usare 10 dita; complicato è anche gestire i movimenti che necessitano l’uso di un mouse o di una combinazione di tasti da premere contemporaneamente. Non mancano però anche aspetti “positivi”, come ad esempio quando piove o nevica in inverno e le temperature sono molto rigide: posso tenere un ombrello aperto senza dover indossare un guanto per proteggere la mano dal freddo.

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Sul tuo sito web sono citate aziende come Balgrist Tech e Touch Bionics o progetti come CYBATHLON: sei attivamente coinvolto nella ricerca e nello sviluppo di protesi?

Non ho una formazione tecnica. Per anni ho lavorato in una banca d’affari per poi dedicarmi attivamente in organizzazioni no profit come Amnisty International e Save the Children. Sono solamente un esperto nell’uso quotidiano di una mano artificiale. Questo è fondamentalmente il mio know-how, che trasmetto a ortopedici, ricercatori e designer impegnati a creare e sviluppare protesi. Per queste aziende sono un ambasciatore, ma non fraintendermi: da loro a fine mese non riscuoto assegni. Preferisco rimanere uno spirito libero ed essere indipendente nel supportare o consigliare quei prodotti che più ritengo validi. Sono attivamente coinvolto anche in CYBATHLON, un progetto senza scopo di lucro che, sotto l’ombrello organizzativo del Politecnico di Zurigo, promuovere la ricerca, lo sviluppo e l’applicazione di tecnologie di assistenza per le persone con disabilità, creando una piattaforma comune per gli sviluppatori di tecnologie, le persone con disabilità e il pubblico in generale. Con l’organizzazione biennale di queste “cyber olimpiadi” s’intende inoltre informare l’opinione pubblica sui traguardi tecnici finora raggiunti e stimolare il dibattito sull’inclusione e la parità delle persone con disabilità nella vita quotidiana.

A che punto è arrivata la scienza in termini di creazione di una protesi in grado di sostituire completamente una mano naturale?

A differenza delle protesi per gambe che hanno fatto progressi giganteschi quelle per le mani hanno sofferto di un ritardo tecnologico. Innegabile è stata l’evoluzione estetica, ovvero il materiale che simula la pelle umana, ma è solo negli ultimi cinque anni che i movimenti interni hanno avuti sviluppi rilevanti. È affascinante vedere quello che tecnologia, medicina e robotica riescono a fare oggi, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Faccio un esempio: la mia modernissima protesi, che rappresenta il top della tecnologia in questo campo, è in grado di replicare solo il 15% delle funzioni motorie di una mano umana.

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Come prevedi si svilupperanno le protesi, ci sono promettenti nuove tecnologie all’orizzonte?

Dobbiamo fare prima di tutto una distinzione tra protesi: quelle per bambini e quelle per le persone adulte. Una produzione destinata ai bambini, soprattutto per coloro che vivono in paesi in via di sviluppo, può essere relativamente economica. Essenzialmente devono essere robuste e dai colori vivaci, una via di mezzo tra un giocattolo e un dispositivo fantascientifico, poiché ai bambini interessa poco indossare un noioso simulacro di una vera mano accessoriato magari da 150 funzioni. Una stampante 3D permette la loro creazione con poche centinaia di euro. Non va dimenticato che le esigenze fisiche di un bambino variano continuamente con la crescita, per cui la protesi “definitiva” può arrivare con l’età adulta. I differenti tipi di prese e la velocità dei movimenti sono invece gli obiettivi su cui si sta concentrando la ricerca sulle protesi destinate agli adulti.

Parlaci della tua.

Potendo ancora muovere il mio moncherino utilizzo due sensori installati nella cavità della protesi per poter aprire o chiudere la mia mano. Ma ho altre 25 differenti prese che sono programmate da un’App installata sul mio iPhone. Ne posso selezionare 3 alla volta, in relazione alle azioni che mi accingo a svolgere. Ora, se tocco due volte il sensore posso stringerti la mano come avevo programmato in funzione di questo incontro. Non sempre ho necessità di uno smartphone, posso utilizzare anche una “grip chip”. È un dispositivo che, al mio avvicinarsi, trasmette, via bluetooth, la combinazione di prese di cui ho necessità in quel determinato momento. Quella installata sulla bicicletta mi permette ad esempio d’afferrarne il manubrio, mentre quelle disseminate nel mio appartamento sanno come comportarsi nel caso ad esempio mi avvicini al cassetto della cucina permettendo alla mia mano di aprirsi per afferrare una forchetta. Ne ho installate anche sulla Vespa, in auto, sul computer e via discorrendo. Ovviamente la mano umana ha più di 25 prese e c’è margine di miglioramento, anche per i materiali di cui è costituita questa protesi: alleggerendo l’intero arto che pesa ora 1,2 kg o sostituendo il carbonio, che ricopre la cavità e che d’estate può diventare insopportabilmente caldo. Un altro obiettivo è quello di rendere queste protesi resistenti all’acqua, problematica inesistente in quelle per bambini che sono prive di circuiti elettrici.

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La tua mano è ormai una superstar fra i bambini delle scuole dove sei invitato a parlare sul significato della disabilità. Che riscontro hai avuto da loro?

La chiamano “mano magica” e mi domandano in continuazione se ho dei super poteri. Inizialmente rispondevo di no provocando in loro un’evidente delusione; ora ho aggiustato il tiro confidando di non saperlo con sicurezza, un dubbio che accresce la loro curiosità ed eccitazione. Pensano che io sia una specie di super-eroe, anche per via del polpastrello del dito indice che, per via della sua funzione touch, è realizzato con materiale speciale e con un colore differente dagli altri quattro: immaginano possa nascondere un dispositivo simile a quello in dotazione all’Uomo Ragno! I miei interventi producono sempre una reazione positiva fra i bambini. È importante educarli sin da piccoli al concetto di inclusione.

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Nei panni di Bionic Man, sei diventato ora anche protagonista di un fumetto. Parlaci della genesi di questo originale concetto artistico.

L’idea nasce dall’incontro con David Boller, fumettista elvetico che ha vissuto vent’anni negli Stati Uniti disegnando super eroi per Marvel e DC Comics. Lo conosco dai tempi in cui lavoravo ad Amnisty International e si è dimostrato subito entusiasta nel poter dar vita alla figura di un super eroe handicappato. Non so se nell’ambito editoriale esista un personaggio del genere, non in Svizzera perlomeno. Nessuno sa chi è veramente Bionic Man, certo assomiglia in modo evidente al sottoscritto, ma la sua vera identità non è mai stata rivelata nel fumetto. La sua popolarità è tale che è Bionic Man a essere invitato agli eventi e a firmare autografi, non più Michel Fornasier. Questo fumetto è uno strumento molto efficace sia per avvicinare i bambini all’idea della disabilità fisica, sia per aiutare quelli che ne sono portatori a saperla affrontare, attraverso un modello a cui ispirarsi e che non li faccia sentire soli. Su questo progetto editoriale sto concentrando attualmente la parte creativa del mio lavoro. A settembre sarà in vendita il volume che raccoglie le prime dieci avventure di Bionic Man, successivamente disponibili sul sito ufficiale persino in giapponese. Il ricavato verrà devoluto all’associazione Give Children a Hand, l’organizzazione benefica che ho creato e a cui lavoro a tempo pieno dal 1° giugno.

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Ritieni che le persone siano sufficientemente sensibilizzate al sostegno di questo tipo di organizzazioni?

Tutto è proporzionato ai numeri, è triste dirlo ma è la realtà. I portatori dello stesso mio handicap sono una minoranza rispetto a coloro che hanno perso una gamba o l’uso della vista. Guardiamoci un po’ attorno: non esiste una segnaletica che vada oltre la rappresentazione grafica di una sedia a rotelle. Non disponendo di una lobby ad hoc, la raccolta di fondi necessita di un’adeguata calibrazione. Iniziando dal mio coinvolgimento personale: è sufficiente mostrare la mia mano bionica e descrivere semplicemente una mia giornata tipo per essere convincente. Non sarei altrettanto credibile se mi mettessi a sostenere attività che implicano disabilità differenti della mia: non ho la minima idea di cosa significhi girare su una sedia a rotelle o camminare accompagnato da un cane guida. Inoltre, sin dall’inizio, ho evitato di giocare la carta del pietismo, puntando invece tutto sulla positività e sul fascino che la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica e la creatività del design sono in grado di trasmettere. Perché vergognarsi del proprio handicap quando può essere un protagonista dell’evoluzione umana?

Prima di salutarci, con una stretta ad ambedue le mani, lancia un messaggio finale a chi ci sta leggendo…

Trattate coloro con “bisogni speciali” come persone normali niente di più niente di meno, perché è ciò che più desiderano. Siate essere esploratori della vita, curiosi di sperimentare sempre cose nuove.

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Michel Fornasier:   Website   Instagram   Facebook  

Give Children a Hand   Bionic Man   CYBATHLON

Tutte le immagini: Courtesy Michel Fornasier

 

 

 

 

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