I film che narrano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta o i viaggi iniziatici hanno fatto la parte del leone al termine della tredicesima edizione del Zurich Film Festival che ha premiato coi suoi Occhi d’oro registe e opere prime
Malgrado le superstizioni legate al numero 13, la rassegna cinematografica conclusasi ieri si è rivelata un successo su tutta la linea. Con 98.300 visitatori (erano 90.500 nel 2016), gli spettatori sono nuovamente cresciuti (+ 8,5%). Grazie ai suoi 160 film (12 in meno rispetto all’edizione precedente) e alle quattro nuove sale del cinema Riffraff, il Zurich Film Festival può vantarsi di una netta crescita e di un più grande numero di proiezioni registranti il “tutto esaurito” rispetto lo scorso anno. “Evidentemente il pubblico ha apprezzato il nostro profilo più affinato seguendo lo sviluppo delle nostre idee sul festival” si sono rallegrati i condirettori Nadja Schildnecht e Karl Spoerri. “Abbiamo osservato una notevole affluenza di spettatori, in particolare per i film in concorso, che mettono l’accento sulle opere provenienti dal mondo intero, ma anche per le proiezioni speciali, la sezione destinata ai bambini, sempre più ricca, e quella dedicata al cinema ungherese”, forte atto politico, quest’ultimo, sottolineante la deriva autoritaria di un governo che ha già chiuso istituzioni democratiche e imbavagliato la libertà di stampa.
E l’Occhio d’oro va a…
“I premi principali delle tre competizioni sono stati assegnati a opere prime, constatando che il cinema svizzero, ben rappresentato, è stato premiato a più riprese. Sono state infine le registe questa volta, e non come d’abitudine i loro colleghi maschi, ad accaparrarsi la maggioranza dei riconoscimenti” aggiungono Nadja Schildnecht e Karl Spoerri. In occasione dell’Award Night, tenutasi nella prestigiosa cornice del Teatro dell’Opera, le giurie internazionali dei tre concorsi (Lungometraggi, Documentari e Focus Svizzera Germania Austria) hanno assegnato i loro Occhi d’oro rispettivamente: all’opera del cineasta di Singapore Kirsten Tan per il viaggio iniziatico di Pop Aye, che racconta il ritorno di un architetto di Bangkok nel suo villaggio natale con un elefante, al doc Machines (India/Germania/Finlandia) di Rahul Jain, sui rapporti di lavoro precari in una fabbrica tessile indiana e alla regista zurighese Lisa Brühlmann che in Blue My Mind racconta la storia di una ragazza di 15 anni che comincia a trasformarsi in sirena con le prime mestruazioni. Oltre a questo riconoscimento, dotato di 20’000 franchi, il lungometraggio ha ricevuto anche il premio della critica che ricompensa una prima opera particolarmente convincente. Il premio di incoraggiamento per il miglior film elvetico, assegnato da una giuria di critici stranieri, è andato al road-movie franco-svizzero Avant la fin de l’été di Maryam Goormaghtigh, la storia dell’iraniano Arash che, intenzionato a rientrare nel suo paese natale dopo cinque anni di studi a Parigi, fa un viaggio nel sud della Francia insieme ai suoi due amici intenzionati a fargli cambiare idea. Il premio del pubblico ha ricompensato quest’anno il regista americano Mark Grieco per il documentario A River Below, che ci porta nel cuore dell’Amazzonia stilando il ritratto di due attivisti ambientali che, trovandosi in una situazione inestricabile, combatto per la stessa causa con armi differenti.
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È il totale dei film, “toutes sections confondues”, che ho visto su grande schermo nell’arco di 11 giorni. Tutti elencati cronologicamente e giudicati, con una scala da una a cinque stelle, sulla mia pagina Facebook. I miei personali “goldene Augen”? Queste le visioni più emozionanti: Call Me by Your Name di Luca Guadagnino, 120 battements par minute di Robin Campillo, On Body and Soul di Ildiko Enyedi e il doc Ex Libris – The New York Public Library di Frederick Wiseman.
Tutte le immagini: courtesy Zurich Film Festival